venerdì 29 settembre 2023

La Consapevolezza della Morte


La Consapevolezza della Morte 



La Consapevolezza della Morte nel Bardo Thodrol

La quarta fase del processo di morte: quando si è certi della morte di una persona?

Si possa noi generare una forte attenzione e introspezione quando l’elemento costitutivo del vento inizia a dissolversi nella coscienza e il flusso esterno del respiro cessa, le grossolane apparenze dualistiche si dissolvono, e compare un’apparenza simile ad una lampada a burro.

Il decimo verso è dedicato interamente alla quarta fase del processo di morte (Fiamma di una Lampada).

L’elemento vento cessa e il respiro si interrompe ma, attenzione, la persona non è affatto morta. Infatti, dice il Dalai Lama, “esistono livelli più sottili del respiro” per cui “la cessazione del respiro dal naso non segnala il completamento del processo di morte”. (Dalai lama, Lungo il Sentiero dell’Illuminazione, pag. 59)

Abbiamo detto che il moribondo può rimanere in questo stato anche per molti giorni. È incredibile come la medicina legale possa considerare morta una persona solo perché è cessato il respiro dalle narici. È così che si rischia – ed è capitato molte volte – di seppellire persone ancora vive! L’unico segno di morte certa è dato dallo sgradevole odore dolciastro emanato dal corpo già in decomposizione.

Ma questo odore a volte tarda troppo e si preferisce correre il rischio di seppellire una persona, che qualche ora o qualche giorno dopo potrebbe svegliarsi nel buio di una cassa, oppure tra le fiamme di un forno crematorio. Mi raccontava la mia Maestra di un uomo di sua conoscenza, che si era ammalato di tumore.

Dopo qualche tempo morì, almeno apparentemente. Mentre gli infermieri si aggiravano intorno alla presunta salma, questa si alzò a sedersi sul letto con grande sorpresa e paura delle persone, che stavano lì intorno.

Non solo: quell’uomo è vissuto ancora sei mesi, fino a quando la malattia non lo ha completamente vinto. La seconda volta è morto sul serio. Si dovrebbero rivedere tutte le norme, che riguardano l’inumazione dei cadaveri, o presunti tali, per evitare situazioni grottesche e spaventose.

Nella quarta fase nella mente del moribondo appare una luce – come di candela – all’inizio piuttosto incerta e tremolante, poi più stabile. Per questo motivo la fase è denominata “Fiamma di una lampada”.

A questo punto diventa importantissimo lo stato mentale del morente perché bisogna assolutamente evitare paura, ansia, fastidio, ira e tutti quegli stati che possono determinare il permanere nel ciclo delle esistenze ripetute, o, in ogni caso, l’accumulazione di karma negativo. L’ambiente intorno alla persona morente deve essere molto tranquillo.

Avete notato come si tenda a parlare sottovoce in presenza di un moribondo, prima, di una salma, poi?

Non vi siete mai chiesti perché? È una nostra conoscenza inconscia e intuitiva: non si deve disturbare chi sta morendo! Altre filosofie insegnano queste cose in modo aperto, mentre noi occidentali abbiamo dovuto accontentarci fino ad oggi di comportarci in quel modo solo per istinto.

In questa fase, scomparendo tutti gli elementi esterni, si dissolve l’illusione della materia (le “grossolane apparenze dualistiche”), la nostra coscienza si espande e si comincia a penetrare l’essenza delle cose.

Il concetto di Coscienza secondo il Buddismo

Dobbiamo – prima di proseguire – comprendere il concetto di Coscienza secondo la filosofia buddista.

“La coscienza è definita come ciò che è luminoso e cognitivo. È luminosa nel duplice senso che è chiara per natura e che illumina, o rivela, come una lampada che dissipa l’oscurità rendendo gli oggetti visibili. La coscienza conosce gli oggetti anche nel senso che quantomeno li afferra, anche se non li conosce propriamente”, scrive il Dalai Lama (Dalai lama, Lungo il Sentiero dell’Illuminazione, pag. 63).

La coscienza può essere intesa come percezione dell’Essenza dell’esistente. È la Consapevolezza.

L’aggettivo luminoso si può qui intendere in due modi: sia nel senso che illumina la persona in merito all’Essenza delle cose, sia nel senso che la persona vede l’Essenza delle cose, per cui si trova immersa in un’infinità di filamenti di luminosa Energia. 

La Coscienza è la Consapevolezza, la presenza mentale, la Conoscenza accettata perché vissuta in prima persona.

Così come la materia è composta da atomi (ed il Buddismo conosce da sempre la composizione atomica della materia!), anche la coscienza ha i suoi elementi costitutivi: essi sono dati dai singoli pensieri, esperienze, tendenze, che caratterizzano l’entità incarnata in una persona.

I Buddisti usano – per indicare le parti costitutive della coscienza – la parola “momenti”. Scrive il Dalai Lama:

“La coscienza è composta da momenti, invece che da cellule, atomi o particelle. Quindi, coscienza e materia hanno natura fondamentalmente diverse e, di conseguenza, cause sostanziali diverse. Le cose materiali hanno altre cose materiali come cause sostanziali (così chiamate perché producono la sostanza, o entità fondamentale, dell’effetto), perché causa sostanziale ed effetto sostanziale devono avere una natura fondamentalmente compatibile.

L’argilla, per esempio, è la causa sostanziale di un vaso d’argilla. La causa sostanziale di una mente deve essere essa stessa qualcosa di luminoso e cognitivo: un momento precedente della mente. Ogni momento della coscienza richiede, dunque, come causa sostanziale un momento precedente della coscienza, il che significa che ci deve essere un continuum mentale senza inizio.

È così che si forma un ciclo senza inizio di rinascite attraverso il ragionamento. Se poi c’è un preciso ricordo della rinascita, questa è un’indicazione sufficiente; non tutti devono ricordare. L’assenza di vite precedenti e future non è mai stata percepita direttamente, mentre ci sono casi attestati di chiari ricordi di vite precedenti”. (Dalai lama, Lungo il Sentiero dell’Illuminazione, pag. 63)

Quello riportato è un ragionamento molto ingegnoso e sottile, perché riesce a dimostrare senza ombra di dubbio la realtà delle reincarnazioni, su cui sono completamente d’accordo, a condizione che si si tenga presente come essa abbia senso solo se considerata nell’elemento tempo (si veda un altro mio articolo sull’illusorietà dell’elemento tempo).

Inoltre, nel brano riportato, il Dalai Lama adombra un’altra verità fondamentale: la Legge di Causa ed Effetto, secondo la quale ogni cosa, ogni fatto, ogni pensiero, ogni persona è l’effetto di una miriade di cause; fatti, pensieri, cose e persone, che, a loro volta, sono la causa di altri accadimenti in un ciclo senza fine.

Alla fine del paragrafo precedente ho scritto che “In questa fase (la quarta: “Fiamma di una lampada”, scomparendo tutti gli elementi esterni, si dissolve l’illusione della materia …, la nostra coscienza si espande e si comincia a penetrare l’essenza delle cose”: questo grazie al ritorno della nostra Consapevolezza- Coscienza alla sua origine. Abbiamo ritrovato nella filosofia buddista concetti propri dello sciamanesimo!

La Vita e la Consapevolezza

Importantissimo è il brano, che cito qui di seguito; scrive il Dalai Lama:
“Nonostante il fatto che il corpo aumenti e diminuisca a seconda delle condizioni, esso è dotato di vita e, quando la forza vitale si esaurisce, va rapidamente in putrefazione e diventa un cadavere.

Per quanto bello e meraviglioso possa essere stato, si trasforma in cadavere. Se analizzerai la forza vitale che impedisce al corpo di andare in putrefazione, ti accorgerai che si tratta della mente. Il fatto che la carne sia congiunta alla coscienza le impedisce di decomporsi.

Il continuum di questa mente è ciò che si trasferisce dell’esistenza successiva. La differenza di natura tra mente e materia richiede che le loro cause sostanziali siano diverse, ma ciò non significa che mente e materia non interagiscano; e infatti esse interagiscono in molti modi”. (Dalai lama, Lungo il Sentiero dell’Illuminazione, pag. 63)

Il concetto è, tutto sommato, semplice: il nostro corpo – di suo – è solo un minerale, che ottiene la vita grazie alla Consapevolezza, che gli viene donata, grazie all’Energia vitale che lo pervade; senza di esse non saremmo diversi dalle pietre!

Nella Genesi è scritto:
“A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde” (Genesi 1, 30) poi ancora: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Genesi 2, 7)
La Bibbia dice chiaramente che sono esseri viventi quelli a cui è stato donato un “alito di vita”, l’energia vitale; sono esseri senzienti quelli a cui è stata data la Consapevolezza. Senza Energia vitale, senza Consapevolezza non può esserci vita cosciente.

E’ anche ciò che dicono gli Sciamani: quando la Consapevolezza ci abbandona il nostro corpo muore, torna ad essere un minerale. La Consapevolezza umana, che è rimasta collegata alla Consapevolezza cosmica permette la continuità della presenza mentale anche in altre esperienze di esistenza materiale della stessa entità (“Il continuum di questa mente è ciò che si trasferisce dell’esistenza successiva”).

Il “corpo di sogno”

Nella filosofia buddista termini quali Coscienza, Mente, Consapevolezza, Energia molto spesso – pur potendo indicare cose diverse – vengono usati come sinonimi. Nel discorso, che seguirà, la parola Coscienza (o Mente) si riferisce più che altro al concetto sciamanico di Energia.

Il nostro corpo e la nostra anima sono costituiti da Energia, da un numero immenso di filamenti di Energia purissima e intelligente collegati con la loro origine cosmica.

In particolari stati di rilassamento possiamo metterci consapevolmente in contatto con l’energia che ci costituisce, Energia che per il buddismo è come un vento sottile: un contatto, che è molto più di un contatto, perché si tratta di ritornare alla nostra matrice, alla nostra Essenza, all’insieme intelligente e consapevole dei filamenti d’Energia, che costituiscono la nostra entità. Infatti il buddismo dice che la Coscienza e il vento sottile sono un’Entità indifferenziabile, come se si trattasse della stessa cosa!

Secondo i buddisti l’Energia può essere utilizzata per creare un corpo di Energia purissima, che è poi il Corpo di Sogno, di cui parlano gli sciamani. Naturalmente una simile operazione è accessibile solo agli iniziati. Ed è attraverso questo corpo che possiamo mantenere la piena Consapevolezza al di là della materia e al di là della vita: il Corpo di Completo Godimento di un Buddha in una Terra Pura.

A questo proposito dice il Dalai Lama:
“Inoltre, secondo il Tantra dello Yoga Supremo, la coscienza cavalca un vento che è fisico sebbene, nella sua forma più sottile, esso non sia composto da particelle. A causa di questo stretto legame tra mente e vento, che fa di essi un’entità indifferenziabile, un essere illuminato può manifestare un corpo la cui causa sostanziale è il vento sottile, un corpo al di là delle particelle fisiche come nel caso del Corpo di Completo Godimento di un Buddha in una Terra Pura”. (Dalai lama, Lungo il Sentiero dell’Illuminazione, pag. 64)

Conclusione

Il poema si prolunga per altre sette strofe e tratta della conclusione del processo di morte, dello stato intermedio tra una rinascita ed un’altra e della successiva rinascita. Si tratta di concetti molto interessanti e illuminanti, ma essi richiedono una conoscenza molto profonda della filosofia buddista e rischiano di confondere le nostre semplici menti di uomini occidentali, per cui mi astengo dal commentare oltre.

E’ molto importante ricordare che lo stato della Coscienza al momento della morte determina lo stato della mente nel momento della rinascita – secondo la teoria buddista – per cui è indispensabile, mentre si passa attraverso la quarta fase della morte, mantenere un atteggiamento virtuoso: è in base ad esso che si determineranno le caratteristiche della successiva esperienza di rinascita.

Il Dalai Lama ribadisce questi concetti come segue:

“Se riesci a essere consapevole al momento della morte, riconoscendo i segni delle fasi di dissoluzione e mantenendo un’introspezione sufficiente a cercare di raggiungere il livello di virtù che conosci, qualunque esso sia, la tua pratica sarà molto potente. Come minimo, avrà un effetto positivo sulla tua prossima esistenza”. (Dalai lama, Lungo il Sentiero dell’Illuminazione, pag. 65)

Dalla lettura del poema emerge una visione della morte tranquillizzante: essa non è necessariamente la fine di tutto sempre che nel corso della vita abbiamo aumentato la nostra energia e migliorato la nostra Consapevolezza.

Il quadro, che il poema fa del trapasso, è complicato; Don Juan aveva ragione di affermare che “la morte è una questione monumentale”!

venerdì 22 settembre 2023

Ascensione Logica della Terza Montagna


Ascensione al Logos 


Iniziazione del Fuoco
Samael Aun Weor


La morte è senza dubbio qualcosa di profondamente significativo. Non si può ulteriormente trascurare di approfondire questo tema, in tutti i suoi aspetti, con sincerità, infinita pazienza e in tutti i livelli della mente.

Come luminosa conseguenza, possiamo e anzi dobbiamo affermare con solennità il seguente postulato: “Solo scoprendo totalmente i misteri della morte potremo scoprire l’origine della vita”.

Se il germe non muore la pianta non nasce. Morte e concepimento sono intimamente associati. All’esalare l’ultimo respiro dei nostri giorni, proiettiamo inevitabilmente, attraverso il tempo e lo spazio, il disegno elettrico della nostra esistenza...

Naturalmente, tale disegno elettropsichico viene più tardi ad impregnare l’uovo fecondato; è così che ritorniamo. Il sentiero della vita è formato dalle impronte degli zoccoli del cavallo della morte.

Gli ultimi istanti dell’agonizzante sono segretamente legati ai piaceri amorosi dei nostri futuri genitori terreni. Il destino che ci attende oltre la morte sarà la ripetizione della nostra vita attuale, con l’aggiunta delle sue conseguenze.

Ciò che continua al di là del sepolcro sono i miei affetti, le mie lusinghe, i miei odii: io voglio, io non voglio, io invidio, io desidero, io mi vendico, io uccido, io rubo, io sono lussurioso, io mi adiro, io bramo, ecc., ecc.

Tutta questa legione di io, vera legione di demoni che impersonano difetti psicologici, ritorna, rientra, si reincorpora. Sarebbe assurdo parlare di un io individuale; è meglio parlare, con estrema chiarezza, di un io pluralizzato.

Il buddismo esoterico ortodosso insegna che l’ego è una somma di aggregati psichici. Il libro egizio L’Occulta Dimora fa menzione, con grande rilievo, dei demoni rossi di Seth (gli io diavoli che costituiscono l’ego).

Tali io litigiosi e attaccabrighe costituiscono le legioni tenebrose contro le quali doveva combattere Arjuna per diretto ordine del benedetto Signore Krishna (vedi la Baghavad Gîtã).

La personalità non ritorna; è figlia del suo tempo: ha un principio e una fine. L’unica cosa che continua è sicuramente un mucchio di diavoli.

Possiamo ottenere l’immortalità nel mondo astrale. Tuttavia questo è possibile solo fabbricando l’eidolon (il corpo astrale). Svariatissimi autori pseudoesoteristi e pseudooccultisti cadono nell’errore di confondere l’ego con il corpo astrale.

La moderna letteratura metafisica parla diffusamente delle proiezioni del corpo astrale; dobbiamo però avere il coraggio di riconoscere che i cultori di occultismo si sdoppiano abitualmente nell’ego per viaggiare nelle regioni sublunari della natura attraverso il tempo e lo spazio.

Il corpo astrale non è uno strumento indispensabile per l’esistenza. Vale la pena di ricordare che il corpo fisico dispone fortunatamente di un fondo vitale o Lingam Sarira che garantisce completamente la sua esistenza.

Il corpo astrale è indubbiamente un lusso che molto poche persone possono concedersi. Sono rari i soggetti che nascono con questo splendido veicolo. La materia prima della Grande Opera, l’elemento alchemico con il quale possiamo fabbricare il corpo astrale è l’Idrogeno Sessuale Si12. 

Tale Idrogeno rappresenta ovviamente il prodotto finale della trasformazione degli alimenti nel meraviglioso laboratorio dell’organismo.

È evidente che questa è la materia più importante con cui lavora il sesso. L’elaborazione di tale sostanza si sviluppa in consonanza ritmica con le sette note della scala musicale. Non è secondario comprendere che l’ens seminis, ed il suo peculiare Idrogeno Si12, è seme e frutto allo stesso tempo.

Trasmutare questo Idrogeno portentoso per conferirgli una saggia cristallizzazione in un’ottava superiore significa, di fatto, creare una nuova vita dentro l’organismo esistente, dare forma evidente al corpo astrale o siderale di alchimisti e cabalisti.

Dovete comprendere che il corpo astrale nasce dallo stesso materiale, dalla stessa sostanza, dalla stessa materia dalla quale nasce il corpo fisico; l’unica cosa che cambia è il procedimento.

Tutto il corpo fisico, tutte le cellule restano, per così dire, impregnate dalle emanazioni della materia che è Si12 e quando esse si sono sufficientemente saturate, la materia Si12 comincia a cristallizzare.

La cristallizzazione di questa materia viene ad essere la formazione del corpo astrale. La transizione della materia Si12 ad una condizione di emanazioni e la graduale saturazione di tutto l’organismo per mezzo di queste emanazioni è ciò che in Alchimia va sotto il nome di trasmutazione o trasformazione.

Tale trasformazione del corpo fisico in astrale è ciò che l’Alchimia giustamente denomina trasformazione dei metalli vili in metalli fini, ossia la produzione di oro dai metalli ordinari.

Il procedimento esoterico può essere individuato nello Yoga del Sesso, nel Maithuna, nella Magia Sessuale: connessione del lingam-yoni, fallo-utero, senza eiaculazione dell’ens seminis.

Il desiderio contenuto originerà i meravigliosi processi della cristallizzazione dell’idrogeno Si12 ad un’ottava superiore. L’alimentazione è qualcosa di diverso. Indubbiamente anche il corpo astrale richiede, è ovvio, il proprio alimento e la propria nutrizione.

Siccome il corpo fisico è saggiamente controllato da quarantotto leggi - fatto che è scientificamente dimostrato dai quarantotto cromosomi della cellula germinale - appare molto evidente che l’Idrogeno capitale del corpo cellulare è l’Idrogeno 48 (quarantotto).

Quando si procede per la strada della linea retta, è, in verità, relativamente facile accumulare questo specifico tipo di Idrogeno.

L’eccedenza dell’Idrogeno 48 (quarantotto) non consumato nelle attività fisiche del mondo tridimensionale di Euclide si trasforma prodigiosamente nell’Idrogeno 24 (ventiquattro). Naturalmente, il detto Idrogeno 24 (ventiquattro) si traduce sempre in alimento eccezionale del corpo astrale.

Occorre necessariamente asseverare con il dovuto rilievo che il corpo siderale o astrale di alchimisti e cabalisti si sviluppa e si accresce in modo stupendo sotto l’assoluto controllo delle ventiquattro leggi.

Ogni organo si distingue chiaramente per le sue funzioni e uno sa di avere un corpo astrale quando può viaggiare per mezzo di esso.

Il mio caso particolare fu certamente straordinario: devo specificare che io nacqui dotato di corpo astrale. Lo avevo stupendamente fabbricato prima di nascere, in remotissime età di un passato mahanvantara, molto prima che spuntasse l’alba della catena lunare.

Per me, la cosa più importante era certo ripristinare i poteri ignei nel suddetto corpo astrale. Lo compresi prima di richiedere al Logos del sistema solare l’entrata alla Terza Iniziazione del Fuoco.

Vale la pena di dire ai miei amati lettori che il Grande Essere, dopo avermi concesso quanto richiesto, provvide con una speciale disposizione in mio aiuto. Potete dedurre, da ciò, che mi fu affiancato un certo specialista nel Terzo Grado di Potere del Fuoco. 

Il Guru Deva compì la sua missione dirigendo la Terza Serpe Ignea lungo il canale midollare nel corpo astrale. Litelantes e la mia insignificante persona che nulla vale percepivamo con il sesto senso lo specialista astrale che ci aiutava durante la copula metafisica.

Il risveglio del Fuoco nel corpo astrale è sempre annunciato con un terribile lampo nella notte.

Al principio il Terzo Grado di Potere del Fuoco in quel veicolo tanto prezioso ha un bellissimo color bianco immacolato. Più tardi appare brillante di un bellissimo color oro nell’aura dell’universo.

Confesso francamente e senza mezzi termini che durante il lavoro esoterico con il Terzo Grado di Potere del Fuoco mi toccò vivere simbolicamente tutto il Dramma Cosmico.

Uno, che non è altro che un vile verme strisciante nel fango della terra, si sente realmente commuovere quando, all’improvviso e senza meritarlo, si vede trasformato nel personaggio centrale di tale Dramma, quantunque ciò avvenga in modo del tutto simbolico.

A differenza delle due Serpi precedenti, il Terzo Grado di Potere del Fuoco, dopo aver toccato l’atomo del Padre nel campo magnetico della radice del naso, prosegue la sua marcia fino al cuore.

Tra il campo magnetico della radice del naso ed il cuore esistono vie segrete, nadi o canali meravigliosi.

Un certo percorso segreto collega la radice del naso con il chakra capitale che, dal centro del cervello, controlla il cardias. Per quella via circola il Fuoco. Più tardi prosegue il suo cammino fino al cuore stesso, circolando in modo misterioso lungo l’Anahata Nadi.

Vivere tutto il Dramma del Cristo nel mondo astrale è, senza dubbio, qualcosa da non potersi dimenticare. Man mano che il Terzo Grado di Potere del Fuoco si sviluppa e si dispiega armoniosamente nel corpo astrale, diversi avvenimenti del Dramma Cristico divengono espliciti.

Quando il Fuoco Sacro giunge al meraviglioso porto del cuore tranquillo, viviamo allora il simbolismo intimamente collegato alla Morte e Resurrezione del Cristo.

Appare tremendo l’istante in cui il simbolico Longino infigge nel costato dell’Iniziato la Lancia Sacra, l’emblema straordinario della forza fallica. Parsifal sanò con tale Asta la spaventosa piaga che ardeva dolorosa nel costato del re Amfortas.

Quando fui segretamente approvato da una certa potenza siderale, i tenebrosi Adepti della Mano Sinistra mi attaccarono pieni di odio viscerale.

Tra i misteri delle grandi cattedrali non manca mai il Santo Sepolcro ed è evidente che, nell’Iniziazione, non poteva mancare il mio. Nell’istante in cui scrivo mi torna alla memoria il momento iniziatico di Ginès de Lara.

In quel frangente esoterico dell’insigne Iniziato non c’era, in effetti, alcuna dama di “gran lignaggio” - figlia del fondatore del monastero - che lo accompagnava, nè alcun “gentiluomo” se non il proprio Maestro guida, che lo condusse fino al Sancta Sanctorum o Adytia di quel tempio, dove il neofito trovò, al centro di una ricchissima aula marmorea, un sontuoso sepolcro ermeticamente chiuso. 

Ginès, obbedendo al Maestro, ne sollevò facilmente con le proprie mani il pesante coperchio e vide, nello stesso, con sua grande sorpresa, il proprio corpo fisico.

A differenza di Ginès de Lara, io vidi nel sepolcro il mio corpo astrale. Compresi allora che dovevo passare per la Resurrezione esoterica.

Il Gran Maestro massone Hiram Abif deve indubbiamente resuscitare in noi. “Il Re è morto. Viva il Re!”. La vera e propria Resurrezione, concreta e realistica, è possibile solo nella Seconda Montagna. 

In questi paragrafi ci stiamo soltanto esplicitamente riferendo alla simbolica Resurrezione iniziatica.

Dovetti rimanere astralmente nel Santo Sepolcro per lo spazio di tre giorni, prima della suddetta Resurrezione simbolica. Dopo tutto il processo simbolico resurrettivo, fu indispensabile la discesa all’oscura dimora di Plutone.

Tra le viscere più profonde della terra, là dove il fiorentino Dante si imbatte nella città di Dite, dovetti iniziare tenebrose ricapitolazioni.

La progressiva ascesa si realizzò lentamente, attraverso i vari strati del regno minerale sommerso...

Fu indispensabile una vivida ricapitolazione scenica, progressiva, ascendente, per la piena conoscenza del se stesso, del me stesso.

Quando si tratta di dissolvere l’ego, suole essere utile ricapitolare antichi errori abissali. Conoscere i nostri errori psicologici è realmente un’esigenza indifferibile. «Sono un Santo!» esclamai, davanti ad un gruppo di dame eleganti che, con fare sinistro, presero posto in un sontuoso salone dell’abisso.

Quelle donne si posero a ridere, prendendosi gioco di me, nel mentre, con certe smorfie molto provocatorie, ripetevano ironicamente: «Santo! Santo! Santo…»Le sventurate creature avevano ragione. A quell’epoca non avevo ancora dissolto l’ego: ero un bodhisattwa caduto...

Nel Libro di tutti gli Splendori è scritto con carboni ardenti che, nella dimora di Plutone, la verità si traveste da tenebre. “Demonius est Deus inversus”, scrisse H.P.B. Ascensione simbolica, iniziatica, istruttiva, ma diversa dall’Ascensione Logica[1] della Terza Montagna.

Diciannove giorni dopo aver iniziato la marcia ascendente dall’abisso, gli Adepti della Fratellanza Occulta eliminarono dal mio basso ventre un certo strato o sostanza atomica somigliante alla pelle dell’organismo umano. All’interno del microcosmo uomo, tale tegumento atomico è come una gran porta che dà accesso ai bassifondi abissali...

Finchè negli individui esista quell’elemento atomico, l’Essenza rimarrà estremamente rinchiusa nell’ego. Tolta quella porta atomica nella controparte astrale del ventre, gli Adepti devono poi curare tale zona ventrale.

Quando il Terzo Grado di Potere del Fuoco riesce a salire per la parte superiore del cranio, assume la mistica figura dello Spirito Santo: bianca colomba dalla testa di venerabile anziano.

Immacolata creatura divina, posata sulla torre del tempio, in mistico raccoglimento, attendeva gioiosa l’istante supremo dell’Iniziazione...Ricordando antichi errori di precedenti reincarnazioni, al trentatreesimo giorno mi toccò affrontare un avvenimento insolito, fuori del comune...

Tre dei quattro fondamentali stati della Coscienza dovettero essere sottoposti alla prova del fuoco...

È necessario definire questi quattro stati della Coscienza per il bene dei nostri amati lettori:
A) - Eikasia,
B) - Pistis,
C) - Dianoia,
D) - Nous.
  • Il primo di questi quattro stati è profonda incoscienza, barbarie a tutti gli effetti, sogno infraumano, crudeltà, ecc., ecc.
  • Il secondo di tali stati corrisponde esattamente a tutti i processi razionali: opinioni, settarismo fanatico, ecc., ecc.
  • Il terzo si manifesta come sintetismo concettuale, scientismo, revisione intellettiva di credenze, induzione deduzione di tipo riflessivo, studi molto seri su fenomeni e leggi, ecc., ecc.
  • Il quarto è Coscienza sveglia, stato di Turiya, chiaroveggenza davvero obiettiva, illuminata, perfetta; poliveggenza, ecc., ecc.

Risultai vittorioso nella difficile prova. Indubbiamente, sul Sentiero del Filo del Rasoio dobbiamo essere provati molte volte. Il simbolismo ermetico della suddetta prova esoterica fu molto interessante: tre fanciulle, del tutto serene, nel fuoco. Il risultato fu: vittoria!

Oggigiorno mi trovo ormai fermamente consolidato negli stati dianoetico e noetico. Non è superfluo affermare che Eikasia e Pistis furono eliminate dalla mia natura attraverso le terribili ordalie dell’Iniziazione.

Trentasette giorni dopo aver dato inizio a revisioni abissali, dovetti direttamente studiare le dodici costellazioni zodiacali, sotto la cui reggenza evolviamo ed involviamo senza posa.

Ciascuna delle dodici costellazioni zodiacali risplende con il proprio specifico tono. La luce astrale della costellazione del Leone è di un bellissimo color oro e, nel contemplarla, ci si sente ispirati.

Il finale di tutti i processi relativi all’Ascensione viene sempre annunciato da quattro Angeli che, rivolti ai quattro punti cardinali del pianeta Terra, fanno squillare ciascuno la propria tromba.

All’interno del Tempio mi venne offerta la bianca colomba dello Spirito Santo, come per dirmi: «Lavora intensamente nella Nona Sfera se vuoi incarnare il Terzo Logos dentro di te».

Tutti questi processi simbolici dell’Ascensione si conclusero il quarantesimo giorno. La cerimonia finale si svolse nel mondo causale. Ciò che sentii e vidi allora fu veramente straordinario.

Il Grande Iniziatore fu, in quella occasione, Sanat Kumara, il fondatore del Gran Collegio di Iniziati della Venerabile Loggia Bianca.

All’altare, con la canna dai sette nodi nella sua destra poderosa, quel Grande Essere brillava in tutta la sua terribile divinità.


[1] Ascensione al Logos (N.d.T.).

venerdì 15 settembre 2023

L'immagine nella comunicazione gnostica


γνῶσις (gnosis) from Sahaj on Vimeo.

 

La comunicazione gnostica è ricca di immagini, racconti, e sottili allegorie. Gli antichi gnostici infatti ritenevano che la comunicazione risultasse essere uno strumento imperfetto per veicolarle non solo la Gnosis ( che è pratica ), ma anche il riflesso di esso. Quindi attraverso descrizioni ricche di particolari immaginifici, cercano di stimolare una sorta di invocazione, evocazione nel confratello all'ascolto. 

Questa premessa è doverosa ed essenziale, e la comprensione della modulazione e trasmissione del pensiero gnostico fondamentale per superare l'aspetto dialettico, ed immergersi nel contenuto, della stilla di luce che intende trasmettere. 

Ne discende che è perfettamente inutile ricercare un'omogeneità discorsiva, una congruenza temporale o fenomenologica di quanto gli scritti gnostici, anche se attribuiti ad uno stesso autore, in quanto ciò che è fondamentale risulta essere l'effetto prodotto nell'intimo del lettore o uditore gnostico: in una sorta di "seminazione" del cervello.


L'Albero della Gnosi
Filippo Goti
 
Tu sei l'albero della gnosi,
quello che è nel paradiso,
quello dal quale ha mangiato il primo uomo.
Esso aprì la sua intelligenza,
esso amo la sua co-immagine,
condannò le altre immagini estranee,
e ne ebbe ripugnanza.
 
( La gnosi e il mondo, edizioni Tea )
 

Questa breve poesia è tratta dall'Origine del Mondo ( edizioni Tea ), e parla dell'Albero della Gnosi, che come l'Albero della vita è collocato nel Paradiso a settentrione. 
 
Questo luogo è un piano spirituale, determinato dalla Giustizia divina e la lettura del testo precedente lascia comprendere che è una "realtà" di passo per le anime sulla via del Pleroma. 
 
Dove l'Albero della Gnosi è posto prima dell'Albero della Vita. La funzione di quest'Albero è quella di scuotere le anime dal sonno dell'Illusione e dell'Ignoranza dei Demoni. 

Dopo che l'anima ha riconosciuto, giudicato, e ripudiato le potenze demoniache essa è pronta a nutrirsi dell'Albero della Vita Eterna, e fare così ritorno al Padre Occulto.

In questi semplici versi, che in breve andremo ad analizzare passo a passo, è racchiusa l'escatologia gnostica, e la funzione della Gnosis. 

Gnosis è conoscenza pratica, dove attraverso una fenomenologia dello Spirito in virtù della coscienza ultrasensibile è possibile trarre esperienza di conoscenza attraverso accadimenti sensibili e ultrasensibili, ma sempre inseriti nel Cosmo dove l'uomo gnostico ha dimora temporanea. 

La conoscenza assume quindi valore non solo di veicolo di redenzione, e manifestazione di redenzione, ma anche forma, di profondo mutamento nella natura dell'Uomo, che grazie ad essa risorge a nuova vita, cibandosi del nutrimento, i frutti dell'Albero della Vita, della vita Eterna. 

E' utile far notare, come sarà in seguito evidenziato anche nell'esame del testo, che il verbo nutrirsi, cibarsi, implica non solamente ingestione di una realtà posta all'esterno dell'uomo, ma anche una trasformazione dello stesso, e identificazione della natura della stessa.

Come in un processo alimentare, dove il nutrimento viene portato alla bocca, ingerito, assimilato, e ricollocato all'interno dell'organismo, qui il procedimento non muta, se non nelle conseguenze finali: la comunione con la Conoscenza. Essa essendo frutto della pratica individuale, è componente intrinseca dell'uomo gnostico.

Tu sei l'albero della gnosi,

Abbiamo il riconoscimento da parte dello gnostico della Conoscenza, e della sua manifestazione (l'Albero). Ciò avviene a livello intuitivo, per affinità elettiva, in quanto l'Albero della Conoscenza, è prodotto dalla volontà del Padre, e quindi in esso vi è una stilla della sua natura, come nell'uomo gnostico vi è una stilla del Padre. 

Molto possiamo scrivere attorno al riconoscimento, ma basti dire che esso è frutto della rimembranza, del ricordo, seppur vago di quanto era rappresentativo della Dimora del Padre, e che in virtù della caduta pneumatica è andato perduto. Ma attraverso le pratiche gnostiche è possibile far nuovamente emergere chiazze di memoria. 

La figura dell'Albero è anch'essa indicativa della ricerca gnostica, che trova fondamento in questo mondo, per traslare le esperienze in un piano conoscenziale superiore, e lambire così, con i rami protesi al cielo, il limite del Pleroma stesso.


quello che è nel paradiso,

Apparentemente una ripetizione inutile, non essenziale. Ma se oltrepassiamo il livello dell'apparire, riflettendo sulla condizione che gli gnostici ritengono propria dell'uomo, troviamo tale asserzione fondamentale. 

L'uomo psichico vive nell'ignoranza del Padre, e ciò provoca illusione. Esso è come un nomade che si muove fra le nebbie che tutto avvolgono. I contorni sono sfumati, le distanze incalcolabili, la direzione approssimitiva. 

E' facile errare. Così nella vita terrena, transito di redenzione, è facile nutrirsi di alimenti di Ignoranza, confondendoli per buon cibo. Ciò porta alla morte dell'anima, al prolungare l'asservimento. 

Se l'albero della Gnosi è in Paradiso, è possibile che via sia un'altro Albero della Gnosi ? Certamente no. Se nel mondo del Padre, tutto è Amore del Padre e per il Padre, vi può essere un Paradiso ? Certamente no, in quanto ne fa difetto la causa. 

Solo oltre il Padre vi è il mondo delle manifestazioni, via via più grossolane. Ne discende che vi è un altro albero della Gnosi, ma che esso è solo apparentemente tale: ingannevole. Quest'albero è l'erudizione fine a se stessa, le cose di questo mondo vissute senza volontà di conoscenza e di trascendenza. E' l'essere come un foglia in un mulinello.

quello dal quale ha mangiato il primo uomo.

Il Cosmo, il creato, nella concezione cosmogonica gnostica è frutto dell'opera di un Dio Minore, cieco ed ignorante: il Demiurgo. Egli memore, grazie alla Madre, dell'armonia del Mondo celeste, posto ai limiti del Pleroma, lo ha ricreato a sua immagine, ma la natura del suo agire era corrotta e quindi il suo frutto è corrotto, in quanto causato da false premesse. 

Come esiste un Paradiso Celeste, dove si vive nella plenitudine di Dio, esiste un Paradiso Terreste, dove si vive in un oblio di Dio. Un Paradiso frutto non della Giustizia del Padre Autentico, ma dell'Ignoranza del Demiurgo. 

Che in un gioco di specchi diviene una trappola dove perpetuare l'asservimento dell'Uomo. In tale ottica acquista diversa luce lo stesso serpente, che da tentatore, diviene istruttore: causa della trasgressione da parte di Adamo ed Eva ai voleri del Demiurgo. Attraverso il nutrimento di quel frutto l'uomo ha intuito che è altra verità, ma non è ancora in grado di afferrarla, e trattenerla. 

Essa è come un lontano richiamo che giunge sul dorso del vento, un sibilo. Ma è sufficiente ad innestare, in coloro che maggiormente sono attenti e sensibili, una ricerca continua di essa. 

L'Albero della Gnosi, ha radici ovunque, anche nel falso Paradiso dove l'uomo conduce una vita tranquilla nell'oblio del ricordo di Se, in balia del Demiurgo. 

Esso ha ovunque radice perché nel mondo dell'immagini e del fare, il seme originario deve essere comunque divino. Ricordandoci che la Luce della Conoscenza, è posta al centro di un universo di dimenticanza. 

La tradizione ci tramanda che l'ira del Demiurgo fu terribile, e allontanò l'uomo infedele, dal Paradiso condannandolo ad una vita di sofferenza e privazioni. 

Questo atto fu voluto, per costringere l'uomo ad occuparsi di cose terrene, per non impegnarsi nella ricerca della Conoscenza, che lo avrebbe liberato inesorabilmente dal potere del Demiurgo. Ma l'Albero della Gnosi è ovunque.

Esso aprì la sua intelligenza,

L'effetto del frutto dell'Albero della Conoscenza, è quello di liberare l'intelligenza ( intesa come capacità di riconoscere il divino ) dallo stato di prigionia in cui si trova prima di tale atto. In tale passaggio, possiamo trovare identità fra la natura di questa Intelligenza, e la virtù teologale dell'Intelletto inteso come dono dello Spirito Santo, che feconda l'intelligenza umana, con il seme frutto dell'intelligenza divina. In modo tale che l'uomo abbia una diversa chiave di lettura delle cose di questo mondo.

esso amo la sua co-immagine,

Amore e Conoscenza, sono due termini indissolubilmente legati nella Tradizione Gnostica. Senza Amore non vi è Conoscenza, la Conoscenza è un frutto dell'Amore. Più amiamo più conosciamo, più conosciamo maggiore è l'intensità con cui amiamo. 

Fino a giungere ad una frenetica comunione dove entrambi gli attori sono specula l'uno dell'altra, come due diapason che vibrano alla medesima intensità. L'Albero della Conoscenza, frutto dell'amorevole giustizia divina, ama l'uomo che ama la Conoscenza.

condannò le altre immagini estranee, e ne ebbe ripugnanza.

L'amore della conoscenza è esclusivo, esso è perfetta comunione solamente per identità ontologica, oltre la similitudine delle immagini. La Tradizione gnostica ci narra che il Mondo Celeste è frutto delle promanazioni del Padre Occulto. Gli Eoni stessi, esseri di Luce della sostanza del Padre, non possono abbracciare appieno il Padre Stesso, e quindi modulano la percezione e la cognizione che hanno di esso in immagine. 

Da qui l'Adam Celeste, di cui l'Adam Terreste è Immagine. A maggior ragione nel Cosmo, creato imperfetto di un Dio imperfetto, tutto è forma. Ma come vi sono forme proiezioni di luce, vi sono forme che in loro alberga solamente la tenebra. 

Ciò che non è immagine e sostanza della Conoscenza, non può essere amato dalla conoscenza, e quindi riceve una condanna da parte di essa. In quanto lo riconosce frutto di Ignoranza e Illusione.



venerdì 8 settembre 2023

Fondamenti di scienza karmica e libertà


Fundamentals of karmic science and freedom 



Karma e Libertà
di Rudolf Steiner

Si comprenderà nel modo migliore il karma contrapponendogli l’altro impulso attivo nell’uomo, quello che viene indicato con il nome di libertà. Consideriamo ora per sommi capi la questione del karma. 

Che cosa significa? L’esistenza umana si svolge in una successione di vite terrene, e mentre attraversiamo una di queste vite possiamo, per lo meno col pensiero, volgerci indietro e vedere come l’attuale sia la ripetizione di un certo numero di altre che l’avevano preceduta. 

La vita attuale fu preceduta da un’altra, questa da un’altra ancora fino a quando arriviamo a tempi per i quali non si può più parlare di ripetizione delle vite terrene nel senso odierno, perché in quel periodo remoto la vita tra nascita e morte e quella tra morte e rinascita diventano a poco a poco talmente simili che l’odierna grande differenza tra di loro non esiste più. 

Oggi viviamo nel nostro corpo terreno tra nascita e morte in maniera che, nello stato di coscienza ordinaria, ci sentiamo molto separati dal mondo spirituale. Con lo stato di coscienza usuale, si parla del mondo spirituale come dell’aldilà, e c’è chi arriva anzi a porre in dubbio la sua esistenza, o anche a negarla del tutto.

Ciò dipende dal fatto che la vita terrena chiude l’uomo entro i limiti del mondo sensibile esterno e dell’intelletto che abbraccia solo quanto è direttamente connesso con la vita terrestre stessa. 

Ne derivano tutte le dispute, le quali hanno in realtà sempre radice in una mancanza di conoscenza; a tutti sarà capitato di assistere a discussioni sul monismo, sul dualismo, e così via. È naturalmente assurdo un dibattito su tali luoghi comuni. 

Ascoltando simili dispute si ha come l’impressione di trovarsi di fronte a qualche uomo primitivo che non avesse mai ancora sentito dire che esiste l’aria. 

A chi sa che l’aria esiste e ne conosce le funzioni non verrà mai in mente di parlarne come di qualcosa dell’aldilà e neppure dire: io sono monista, per me aria, acqua e terra sono una cosa sola! Tu invece sei dualista perché nell’aria vedi qualcosa di separato dall’acqua e dalla terra.

Tali dispute non hanno dunque senso, come in genere non ha senso discutere intorno a concetti. Quindi non ci soffermeremo su tali problemi e ci limiteremo a richiamare l’attenzione su di essi. Infatti, come per chi non la conosce l’aria non è qui ma appartiene all’aldilà, così il mondo spirituale, che tuttavia ci attornia come l’aria, è un aldilà per chi non lo conosce. 

Per chi lo conosce è invece un aldiquà. Si tratta dunque semplicemente di rendersi conto che, nell’attuale periodo dell’evoluzione terrena, l’uomo dimora tra nascita e morte nel suo corpo fisico e in tutto il complesso della sua organizzazione con una coscienza che in un certo senso lo separa da un mondo spirituale di cause che tuttavia agiscono nella sua esistenza terrena, fisica.

Fra la morte e un nuova nascita egli vive poi in un altro mondo, in un mondo che in confronto a quello fisico può essere chiamato spirituale; in esso egli non ha più un corpo. fisico percepibile ai sensi, ma vive come essere spirituale. Il mondo in cui si vive tra nascita e morte appare allora altrettanto estraneo quanto alla coscienza ordinaria terrena appare estraneo il mondo spirituale.

L’uomo disincarnato china lo sguardo verso il mondo fisico, come l’uomo fisicamente vivo lo solleva verso i mondi spirituali; solo i sentimenti sono per così dire opposti. 

Mentre tra nascita e morte l’uomo guarda al mondo spirituale e vi trova un certo compenso per quanto nella vita gli è scarsamente concesso oppure non lo appaga, tra la morte e la rinascita, per l’estrema abbondanza degli eventi, sempre troppi in rapporto a quanto può sopportare, egli prova di continuo il desiderio di tornare alla vita terrena, a quel che per lui è allora l’aldilà; nella seconda metà della vita tra morte e rinascita attende poi davvero con grande desiderio di poter far ritorno alla vita terrena attraverso la nascita.

Mentre nell’esistenza terrena ha paura della morte perché è incerto su quanto vi sarà dopo (nella coscienza ordinaria regna difatti grande incertezza al riguardo), fra la morte e una nuova nascita domina una certezza stragrande sulla vita terrena, una certezza che intontisce, che annienta addirittura. 

Perciò l’uomo sperimenta allora condizioni di impotenza, affini a quella di svenimento, che determinano in lui la nostalgia del ritorno sulla Terra. 

Questi sono soltanto alcuni accenni sulla grande differenza tra vita terrena e vita tra morte e rinascita. 

Se però risaliamo al passato, anche solo al periodo egizio che va dal terzo al primo millennio avanti l’era cristiana, se risaliamo cioè agli uomini che noi stessi fummo in una precedente incarnazione, troviamo che allora la vita terrena, di fronte alla chiara coscienza odierna (oggi veramente la coscienza è chiara in modo eccezionale, tutti sono davvero molto intelligenti, e non lo dico con ironia), di fronte a tale chiara coscienza, nel periodo dell’antico 

Egitto la vita durante l’esistenza terrena trascorreva in uno stato di coscienza più sognante, uno stato di coscienza che non si contrapponeva così nettamente alla realtà esterna, ma era colmo di immagini che rivelavano qualche parte della spiritualità che compenetrava il mondo. 

La spiritualità penetrava ancora nell’esistenza terrena fisica.

A questo punto si può obiettare: se l’uomo aveva una coscienza sognante, non del tutto chiara, come poté egli eseguire i poderosi lavori che vennero compiuti ad esempio nel periodo egizio e in quello caldaico? Basta ricordare come nei dementi, proprio in condizioni di pazzia, si verifica talvolta uno straordinario accrescimento delle loro forze fisiche, tanto da renderli capaci di sollevare pesi che in condizioni normali non avrebbero potuto portare. 

In realtà la forza fisica di quegli antichi uomini che nell’aspetto erano forse più gracili degli attuali (ma non sempre chi è corpulento è forte e chi è sottile è debole), la loro forza fisica era maggiore. Essi non concentravano la loro attenzione sopra ogni atto fisico eseguito, ma parallelamente alle azioni fisiche vivevano esperienze interiori nelle quali si manifestava ancora il mondo spirituale.

Quando quegli uomini attraversavano la vita tra morte e rinascita, in quella vita ascendevano assai più elementi della vita terrena, se posso usare l’espressione “ascendere”. Oggi è difficilissimo intendersi con chi si trova nella vita fra morte e rinascita, perché le lingue moderne hanno a poco a poco assunto una forma che i morti non intendono più. 

Dopo la morte i sostantivi, ad esempio, vengono solo percepiti come spazi vuoti. I morti comprendono ancora solo i verbi, ciò che è mobile, attivo, e mentre sulla Terra i materialisti insistono sempre sull’opportunità di ben definire ogni cosa, di nettamente delimitare ogni concetto, il defunto non conosce definizioni, perché conosce solo il movimento, non quanto è definito, delimitato.

Il linguaggio, che in tempi antichi viveva sulla Terra come uso e consuetudine di pensiero, poteva ancora ascendere nella vita tra morte e rinascita; così molto tempo dopo aver abbandonato il piano fisico, alla persona morta perveniva ancora un’eco delle sue esperienze e anche degli eventi che si erano svolti sulla Terra dopo la sua morte. 

Se poi risaliamo a epoche ancora più remote, al tempo dopo la catastrofe atlantica, otto o novemila anni prima dell’era cristiana, le differenze fra la vita sulla Terra e la vita nel cosiddetto aldilà erano ancora minori, finché retrocedendo si arriva gradatamente a epoche in cui esse scompaiono del tutto. A quel punto non possiamo più parlare di ripetute vite terrene.

La ripetizione delle vite terrene ha dunque un limite nel passato, e ugualmente ne avrà uno guardando avanti nel futuro. 

Quel che comincia in modo del tutto cosciente con l’antroposofia l’accoglimento cioè del mondo spirituale nell’ambito della coscienza ordinaria, porterà come conseguenza che il mondo terreno penetrerà esso pure sempre più nella sfera in cui l’uomo vive tra morte e rinascita: la coscienza non sarà però sognante, ma diventerà, anzi, sempre più chiara. 

La differenza tra la vita terrena e quella soprasensibile diminuirà sempre più; la ripetizione delle vite terrene sta pertanto fra due limiti oltre i quali l’esistenza umana si svolge in condizioni diverse; non ha allora più alcun senso parlare di ripetute vite terrene, perché appunto la differenza fra vita terrena e vita spirituale non è tanto grande quanto lo è ora.

Se dunque consideriamo l’attuale ampio periodo di tempo, vediamo che dietro una vita terrena ve ne sono molte altre (non innumerevoli, perché un’indagine spirituale precisa può anzi contarle), e che in quelle precedenti vite attraversammo vicende in cui furono intrecciati molteplici rapporti umani. 

Gli effetti dei rapporti fra uomo e uomo che si svolsero nel passato e si sperimentarono penetrano nell’attuale vita terrena, come gli effetti delle azioni attuali penetreranno nella vita terrena successiva. 

Dobbiamo pertanto cercare in esistenze passate le cause di molte cose che si presentano ora nella nostra vita. A questo punto verrà fatto di chiedere: se quel che sperimentiamo ora è determinato da cause, come possiamo essere liberi?

Vista così la questione è davvero importante, poiché l’indagine spirituale mostra realmente che ogni vita terrena è determinata da quelle che l’hanno preceduta. D’altro lato nell’uomo esiste senz’altro la coscienza della libertà. 

Nella mia Filosofia della Libertà dico che non si capisce l’uomo se non ci si rende conto che tutta la vita della sua anima è diretta, è orientata verso la libertà, verso una libertà però che dobbiamo giustamente comprendere. Appunto in quel libro si trova un’idea della libertà che è importantissimo comprendere nel senso giusto, e cioè che la libertà viene in primo luogo sviluppata nel pensiero. 

La sorgente della libertà sgorga nel pensiero. 
L’uomo ha diretta coscienza di essere libero nel pensiero.
Si può osservare che oggi molti pongono in dubbio la libertà. Ciò mostra soltanto che il fanatismo teorico è più forte dell’esperienza diretta nella realtà. Non si presta più fede alle proprie esperienze perché si è pervasi di vedute teoriche. 

Dall’osservazione dei processi naturali si trae l’idea che tutto è determinato per necessità, che ogni cosa è determinata da una causa: quindi anche un concepire un pensiero ha una causa. Non si pensa affatto alle ripetute vite terrene ma si crede che il contenuto di un pensiero sia determinato, così come lo è quanto viene prodotto da una macchina. 

Con questa teoria della causalità generale, come viene chiamata, l’uomo spesso nasconde a se stesso la coscienza della propria libertà tuttavia chiaramente presente in lui. 

Ma non appena riflette su se stesso, egli sperimenta la libertà che è un fatto.

Alcuni pensano che il sistema nervoso sia un sistema naturale che produce come per incantesimo i pensieri. I pensieri sarebbero così fatti naturali, come per esempio è naturale che la fiamma arda per effetto di combustione, e non si potrebbe parlare di libertà.

Quelle persone però si contraddicono già con il loro stesso modo di esprimersi. Da giovane avevo un amico (ne ho già parlato altre volte) che a un certo punto era stato preso dal fanatismo di pensare in modo del tutto materialistico. 

Egli diceva: “Quando cammino, questo avviene perché i nervi del mio cervello sono attraversati da certe cause che determinano appunto il camminare”. Talvolta le nostre discussioni non finivano più, finché un giorno gli dissi: “Vedi, tu affermi: ‘io vado’. 

Dovresti piuttosto dire: ‘il mio cervello va’. Se credi realmente nella tua teoria non devi dire: ‘io vado, io afferro’, bensì: ‘il mio cervello afferra, il mio cervello va’. Perché dunque menti?”. Questi sono i teorici.

Vi sono poi anche i pratici. Se osservano in loro qualche difetto, di cui non vogliono spogliarsi, essi dicono: “Eh già… Ma di questo non mi posso liberare, è insito nella mia natura! E qualcosa venuto da sé, non posso oppormici”. Sono molti quelli che si appellano alla loro natura come a una costante produttrice di cause. 

Solo che spesso tali persone diventano illogiche quando accade che palesino qualche bella qualità, qualcosa che non richiede scusanti, ma per cui gradirebbero anzi lodi. Allora esse si distanziano dalla loro teoria.

La libertà umana è appunto un fatto e può venire direttamente sperimentata. Già nella vita ordinaria accade che facciamo in piena libertà date cose che però non potremmo facilmente esimerci dal fare, e tuttavia non sentiamo che esse ledano la nostra libertà. Supponiamo di aver deciso di costruirci una casa. 

A ultimarla occorrerà per esempio un anno, fra un anno andremo ad abitarla. Sentiremo forse pregiudicata la nostra libertà per il fatto che, dopo un anno, dovremo dire: adesso la casa c’è, devo andare ad abitarla? Sentiremo in questo una costrizione?

Le due cose coesistono e anche nella vita ordinaria accade che Ci impegniamo per una cosa e che, quando questa sarà un giorno divenuta realtà, dovremo fare i conti con essa. Prendiamo ora tutto quello che deriva dalle nostre esistenze passate, e con cui dobbiamo fare i conti perché dipende da noi, così come dipende da noi la costruzione della casa; dato che la nostra vita terrena attuale è determinata dalle precedenti, non sentiremo pregiudicata la nostra libertà. 

 Certo, si potrebbe anche dire: va bene, ho costruito una casa per me, ma voglio restare libero, non subire costrizioni. Perciò se fra un anno non andrò ad abitarla, la venderò. –  Bene! Si potranno pensare varie cose, si potrà pensare che chi ragiona così non sa quel che vuole. 

Certo si può avere tale atteggiamento, ma per ora prescindiamo dalla possibilità che qualcuno sia tanto fanatico della libertà da proporsi di continuo cose che poi, per salvaguardare la propria libertà, tralascia di fare; si potrà forse dire che egli non ha nemmeno la libertà di portare a termine i suoi proponimenti, che sta perpetuamente sotto il pungolo di voler essere libero, ed è addirittura aizzato da tale fanatismo di libertà. 

Queste cose non vanno davvero comprese in modo rigido e teorico, ma in modo vivo. Passiamo ora a un concetto più complesso. Se all’essere umano attribuiamo libertà, agli esseri delle gerarchie superiori, che non sono ostacolati dai limiti della natura umana, dovremo attribuirla in grado anche maggiore. A questo punto qualcuno potrebbe costruire una singolare teoria teologica e dire: Dio deve essere libero. 

Egli ha tuttavia ordinato il mondo in una determinata maniera, e questo lo lega: non può ogni giorno mutare l’ordine del mondo, quindi Dio non è libero.

Non usciremo da un circolo chiuso contrapponendo in questo modo la necessità karmica interiore e la libertà, che è un fatto della nostra coscienza, un semplice risultato di auto-osservazione. In tal modo non se ne esce. Prendiamo ancora l’esempio della casa che ci aiuta a procedere. Un uomo si costruisce una casa. 

A seguito di tale decisione egli influisce in un determinato modo sul proprio avvenire. Quando la casa sarà pronta, se egli terrà conto della precedente decisione di abitarla, a tale riguardo non gli rimarrà in apparenza alcuna libertà. Sembra che egli abbia limitato da se stesso la sua libertà, che non sia più libero.

Però entro la casa stessa tante altre cose gli rimangono libere. Sarà libero di vivere in quella casa in modo saggio oppure stolto, da persona insopportabile oppure amorevole verso il suo prossimo. Avrà la libertà di alzarsi di buon mattino oppure tardi. 

Altre necessità potranno forse presentarsi, ma in rapporto alla casa potrà alzarsi quando vuole. Sarà libero di vivere in essa da antroposofo oppure da materialista e per altre infinite cose egli rimarrà libero.

Nonostante la necessità karmica, nelle singole vite umane innumerevoli cose rimangono libere, sono realmente nell’ambito della libertà. A questo punto si potrà ancora dire: bene, nella vita abbiamo dunque una certa zona di libertà. 

Sì, è così: abbiamo una limitata zona di libertà e intorno la necessità karmica. Si potrà forse osservare: va bene, in una certa zona sono libero, ma poi arrivo al limite della mia libertà; ivi sento ovunque la necessità karmica. Mi muovo nella mia zona di libertà, ma ai suoi limiti arrivo alla mia necessità karmica e la percepisco.

Se il pesce pensasse in questo stesso modo, si sentirebbe molto infelice nell’acqua, poiché nuotando anch’esso arriva ai limiti dell’acqua fuori dei quali non può vivere. Il pesce tralascia pertanto di uscirne. Rimane dentro, nuota nell’acqua e non si cura dell’aria, e di quant’altro sta intorno. Di certo il non poter respirare con i polmoni non lo rende affatto infelice. 

Per soffrire del fatto di poter respirare solo attraverso branchie e non polmoni, occorrerebbe che il pesce avesse dei polmoni di riserva e potesse confrontare il vivere nell’acqua col vivere nell’aria. In tal caso però tutto il suo modo di sentire e ogni altra cosa in lui sarebbero diversi.

Applicando questo paragone alla vita umana nei confronti di libertà e di necessità karmica, diremo che, nell’attuale periodo terrestre, l’uomo possiede anzitutto la comune coscienza ordinaria con la quale vive nell’ambito della libertà, come il pesce vive nell’acqua, e non penetra con questa coscienza in quella necessità karmica. 

Solo quando comincia a percepire realmente il mondo spirituale (condizione paragonabile a quella del pesce che avesse polmoni di riserva), quando vive davvero in esso, l’uomo arriva ad afferrare un’immagine degli impulsi che si esplicano in lui come necessità karmica. 

Allora vede le sue precedenti vite e, scorgendo in quelle le cause delle sue esperienze attuali, egli non sente e non pensa: ora sono sotto la costrizione di una ferrea necessità, la mia libertà è lesa, ma scopre anzi di avere egli stesso preparato i fatti attuali, come chi si è costruito una casa guarda alla risoluzione presa in precedenza. 

Chi si è fatto costruire una casa si domanderà se fu una decisione saggia oppure stolta. Secondo le circostanze potrà giudicare in modo diverso, ma se la decisione di costruire gli apparirà essere stata molto stolta egli potrà tutt’al più dire di essere stato uno sciocco.

Nella vita terrena siamo seccati quando di un’azione compiuta dobbiamo ammettere che fu stolta. Tale ammissione non ci garba affatto; non vorremmo soffrire per la conseguenza dei nostri errori. Si vorrebbe non aver preso la decisione. 

Ciò vale però solo per la vita terrena ed è determinato dal fatto che, fra la stoltezza della determinazione presa e la pena che ne deriva, la necessità cioè di sperimentarne le conseguenze, trascorre solo un tratto di vita terrena. 

Rimane sempre così. Non è però così fra le singole vite terrene perché fra ognuna di esse si stende la vita fra morte e rinascita e questa vita modifica molte cose che non si modificherebbero se la vita terrena continuasse in modo simile. Supponiamo di guardare a una vita terrena precedente. In essa abbiamo fatto del bene oppure del male a qualcuno. 

Tra quella passata esistenza e l’attuale è trascorsa la vita tra morte e rinascita, durante la quale non abbiamo potuto fare a meno di pensare che, in conseguenza del danno causato ad altri, noi stessi siamo diventati più imperfetti. 

Il danno cagionato ha diminuito il nostro valore, ci ha animicamente mutilati. Occorre riparare, e prendiamo la decisione di fare qualcosa nella nuova vita terrena per riparare l’errore commesso. Tra morte e rinascita si elabora con la propria volontà ciò che produrrà un pareggio che compenserà l’errore. 

Se invece abbiamo fatto del bene a qualcuno (fra morte e rinascita questo ci apparirà chiarissimo) vedremo che la vita terrena si svolge a beneficio dell’intera umanità. Scopriremo che, se nella vita precedente abbiamo aiutato qualcuno così ch’egli poté conseguire risultati ai quali non sarebbe pervenuto senza di noi, questo ci lega a lui anche per la vita fra morte e rinascita, affinché quanto abbiamo raggiunto insieme per il perfezionamento umano possa ulteriormente svilupparsi.

Nella successiva vita terrena torneremo a cercare quella persona per continuare ad agire grazie al perfezionamento da lei conseguito per nostro tramite. Mediante vera penetrazione nel mondo spirituale, se si percepisce il campo delle necessità karmiche, non si possono odiare tali necessità, ma osservando le azioni compiute in passato si dirà: deve accadere, e in piena libertà, quel che accade per un’interiore necessità.

Non accadrà mai che dissenta dal karma chi lo conosce davvero. Quando il karma ci porta incontro cose spiacevoli, dovremmo considerarle attraverso la conoscenza delle leggi generali del mondo. E allora ci si chiarirebbe sempre più che quanto il karma ci porta incontro ci è di maggior giovamento che non sarebbe il dover cominciare di nuovo con ogni nuova vita terrena come se fossimo pagine bianche. 

Noi stessi siamo in realtà il nostro karma, siamo quello che proviene dalle precedenti vite terrene. Non ha senso ritenere che alcunché del karma (vicino al quale esiste veramente la sfera della libertà) dovrebbe essere diverso poiché non si debbono criticare i singoli particolari di un tutto coerentemente connesso. Può accadere che a qualcuno non piaccia il suo naso; egli non può tuttavia limitarsi a criticare il solo naso: esso deve in effetti essere come è nell’insieme di tutta la persona. 

Chi dice che vorrebbe avere un altro naso, dice in realtà che vorrebbe essere un altro uomo, ma così distrugge se stesso nel pensiero. Non è però cosa che si possa fare.

Così non possiamo distruggere il nostro karma, perché noi stessi siamo il nostro karma. Esso non ci turba affatto, perché si svolge a lato delle azioni che dipendono dalla libertà, e non le pregiudica in alcun modo. Vorrei ancora spiegarmi mediante un altro paragone. Noi camminiamo: il terreno su cui camminiamo esiste, e nessuno si sente leso perché ha il terreno sotto di sé. Si dovrebbe anzi sapere che senza un terreno solido sotto i piedi non si camminerebbe, si cadrebbe dappertutto. Così pure è della libertà: è necessario il terreno della necessità; la libertà deve erigersi sopra una base.

Questa base siamo noi stessi. Non appena il concetto di libertà e il concetto di karma vengono giustamente compresi si può senz’altro accordarli. Allora non si arretrerà spaventati di fronte all’esame della necessità karmica, e si potrà anzi arrivare in certi casi a questa considerazione: supposto che mediante la conoscenza iniziatica qualcuno possa vedere le sue precedenti vite terrene, egli verrà in tal modo ad apprendere che nel passato aveva attraversato questa o quella vicenda che porta ora i suoi risultati nella vita attuale. 

Se egli non avesse conseguito la scienza dell’iniziazione sarebbe costretto a determinate azioni da una necessità oggettiva, le farebbe inevitabilmente, e non sentirebbe per tal ragione lesa la sua libertà, che si esplica infatti nel campo della coscienza ordinaria; essa non penetra nel dominio dove agisce la necessità, come il pesce non si solleva nella regione dell’aria. 

Se però possiede la scienza dell’iniziazione, egli guarda indietro, vede la sua vita precedente, e le condizioni allora formate si gli appaiono come il compito che ora deve assolvere, al quale deve consapevolmente accingersi. È davvero così.

Il non iniziato (sembra paradossale, ma è vero) in sostanza sa sempre per impulso interiore quello che deve fare. Sì, gli uomini sanno sempre quel che hanno da fare, si sentono sempre spinti verso l’una o l’altra cosa. La condizione cambia per chi si avvia sul cammino della scienza iniziatica. Di fronte alle esperienze della vita in lui sorgono particolari problemi. 

Quando si sente indotto a fare una cosa sperimenta al con tempo una spinta a non farla, gli viene a mancare l’oscuro impulso che guida la maggior parte degli uomini. In realtà, se non entrassero in gioco altri elementi, a un certo gradino della conoscenza iniziatica, l’uomo potrebbe dirsi: adesso mi metto a sedere, e passerò nel miglior modo tutto il resto della vita; ho quarant’anni e non farò più niente, non mi importa più di niente. 

Non si sente realmente più alcun deciso impulso all’azione.

Non dobbiamo credere che l’iniziazione non abbia una sua realtà. È singolare quel che la gente talora ne pensa. Chi mangia un pollo arrosto, crede alla sua realtà, ma della scienza dell’iniziazione i più credono che abbia solo effetti teorici. Essa produce invece effetti vitali, e uno di essi è quello a cui ho accennato. Prima di avere la scienza iniziatica, sulla base di un’oscura spinta l’uomo ritiene una data cosa importante e trascurabile un’altra. L’iniziato, se null’altro accadesse, potrebbe mettersi seduto e lasciare che tutto si svolga a proprio modo, perché non gli importa più che una cosa accada e l’altra no. 

Per lui vi è un solo rimedio al non sedersi su una sedia, guardare il mondo e dirsi che tutto gli è indifferente; non è infatti così, perché l’iniziazione porta infatti qualcosa d’altro, porta a dirigere lo sguardo a vite precedenti. 

Egli legge allora nel suo karma i compiti dell’attuale vita terrena ed esegue coscientemente quanto gli impongono le sue incarnazioni precedenti. Non tralascia di eseguire quei compiti pensando che ciò pregiudichi la sua libertà, ma anzi li esegue perché, assieme alle vicende delle precedenti vite terrene, egli vede anche l’esistenza attraversata tra morte e rinascita e vede di aver allora riconosciuto che era bene prendere su di sé le conseguenze delle proprie azioni. 

Si sentirebbe non libero se non potesse essere in grado di eseguire i compiti imposti gli dalle precedenti vite (2).

Una contraddizione fra necessità karmica e libertà non esiste dunque, né prima né dopo essersi accostati alla scienza iniziatica. Prima non esiste perché, con la coscienza ordinaria, l’uomo rimane unicamente nel campo della libertà, e la necessità karmica si svolge fuori di lui come un fenomeno di natura: non sente altro al di fuori di quanto gli propone la sua natura; e neppure esiste dopo, poiché l’uomo si trova allora d’accordo col proprio karma, considera giusto adeguarvisi. 

Chi si è fatto una casa non dice che andarla ad abitare pregiudica la sua libertà, ma dirà piuttosto: ora che l’hai costruita, và ad abitarla e vivi liberamente nella tua casa; così chi, mediante la scienza dell’iniziazione, guarda le sue vite passate sa che diviene libero appunto mercé l’assolvimento dei propri compiti karmici, entrando cioè nella casa che egli stesso si è costruito in precedenti esistenze.

Ho voluto oggi mostrare come nella vita umana la libertà sia compatibile con la necessità karmica.


Note:

( 1) – Conferenza tenuta a Dornach il 23 febbraio 1924, contenuta nel volume primo de “Considerazioni esoteriche sui nessi karmici”, pp. 38-51, Editrice Antroposofica, Milano, 1985.
(2) – A questo punto Rudolf Steiner osserva che la parola” karma” è giunta in Europa attraverso la lingua inglese, e che la sua giusta pronuncia sarebbe kèrma (con la “e” aperta come in “cioè”), mai comunque kirma, come alcuni dicono.






sabato 2 settembre 2023

San Francesco d’Assisi e i Sufi


Jalaluddin Rumi 



San Francesco d’Assisi e i Sufi 
(dagli insegnamenti della Scuola E.S.O. di Tradizione Egiziana)


Di Francesco d’Assisi, oltre alla storia che tutti conoscono, pochi sanno che, intorno ai trent’anni, il santo cercò di raggiungere l’Oriente e in particolare la Siria, dove si erano stabiliti i Dervisci danzanti. Per motivi a noi ignoti, non ci riuscì e tornò in Italia. 

Provò nuovamente, questa volta attraverso il Marocco. Attraversò quindi l’intero regno d’Aragona in Spagna, cosa che destò non poche sorprese. Le idee e le scuole Sufiche erano molto diffuse in Spagna.
 
Il viaggio anche stavolta non proseguì fino alla meta prefissata e, nella primavera del 1214, Francesco tornò a casa. Partì in seguito però, con le Crociate, mentre si stava svolgendo l’assedio di Damietta.

Francesco si incontrò con il Sultano Malik al Kamil.

Malik era un Sufi e, difatti, congedò Francesco in pace dandogli un lasciapassare che gli permetteva di andare e venire con sicurezza, concedendogli il permesso di predicare ai propri fedeli e pregandolo di tornare il più frequentemente possibile a fargli visita. 

Questa visita ai Saraceni fu ritenuta dai biografi un desiderio di convertire il Sultano: è chiaro che non erano a conoscenza dei precedenti di Francesco, né tantomeno dell’impostazione di vita che aveva già assunto. 

Nessun tentativo quindi di convertire qualcuno nel campo musulmano, l’unica realtà fu quella che Francesco, riattraversando il Nilo, non fece altro che dissuadere i cristiani dall’attaccare il nemico.

I suoi avvertimenti furono presi con disprezzo ma in seguito, quando i Crociati dovettero indietreggiare per le gravosissime perdite, vennero maggiormente apprezzati.

Ma passiamo ora a considerare ciò che qualcuno ogni tanto «butta lì» senza approfondire, quando dice che Francesco ha appreso dal grande Al Ghazali. 

Tutto in Francesco ricorda i Sufi: Il Cantico del Sole, ritenuto il primo poema italiano, venne composto dopo il primo viaggio del Santo in Oriente ed è quindi impossibile pensare che potesse essere maturato prima di allora, quando Francesco era solo il capo dei giovani trovatori di Assisi, cantando ballate di guerra e di amori, più in francese che in italiano… 

(Per chi non lo sapesse, Francesco, che si chiamava Giovanni, si vide cambiato il proprio nome dal padre, che aveva una venerazione per la Francia… tanto è vero che da giovane, il Santo parlava più il provenzale che l’italiano.)

Jalaluddin Rumi

Jalaluddin Rumi, il capo dei Dervisci danzanti e massimo poeta in Persia, scrisse numerose poesie dedicate al Sole, il sole di Tabriz. Chiamò addirittura una delle sue raccolte di poesie la Collezione del Sole di Tabriz. Nella sua opera viene continuamente usata la parola Sole.

L’atmosfera, inoltre, e l’ambiente dell’Ordine Francescano sono più vicini ad un’organizzazione derviscia di qualunque altra. L’abito dell’Ordine, la tonaca con il cappuccio e le larghe maniche, è quella dei dervisci del Marocco e della Spagna… Lo speciale metodo di quella che Francesco chiama «santa preghiera», indica un’affinità con il «ricordarsi» derviscio. Francesco rifiutò di diventare un prete.

Come i Sufi, egli accolse nel suo insegnamento i laici e, come i Sufi e diversamente dalla Chiesa, cercò di espandere il movimento fra tutta la gente con alcune forme di affiliazione, cosa inusuale nella Chiesa a quell’epoca.

Come i Sufi, i seguaci di San Francesco, attraverso le sue regole, poterono notare che, diversamente dai cristiani, non si doveva pensare prima alla propria salvezza. Tale principio viene continuamente messo in rilievo dai Sufi, che considerano una vanità l’interesse per la salvezza personale.

Egli iniziava così la predicazione: «La pace di Dio sia con voi»… Questo, per chi non lo sa, è un saluto arabo.

Molti di voi avranno sicuramente visto il film Francesco con Raul Bova e si ricorderanno dell’episodio in cui il Santo si reca da Innocenzo III (quel sant’uomo di Papa di cui abbiamo parlato nell’ambito dell’eresia Catara…). 

Ebbene sì, le cose andarono veramente come nel film… a differenza di alcuni particolari che non sono stati tenuti nella dovuta osservazione. Francesco andò dal Papa «armato» di una parabola che raccontava di quei giovani, figli di una bellissima donna che viveva nel deserto, che li aveva avuti da un re. 
Quando questi divennero grandi, la donna li mandò dal re, il quale chiese loro: «Di chi siete figli?» e loro risposero: «Siamo figli di una povera donna che vive nel deserto». Il re rispose loro: «Non abbiate paura, voi siete miei figli.»

La tradizione che i Sufi siano cristiani esoterici venuti dal deserto e che siano figli di una povera donna (Hagar, moglie di Abramo, per la loro discendenza araba) si adatta perfettamente alla possibilità che Francesco abbia cercato di spiegare al Papa come la corrente del Sufismo rappresentasse la cristianità senza soluzione di continuità.

Come nel film, Francesco venne prima allontanato ma poi richiamato, richiamato dal Papa per un sogno. 

Il sogno di Innocenzo III fu quello di una palma che cresceva gradualmente ai suoi piedi, fino a raggiungere una statura d’uomo… a quel punto, quella palma si configurò con Francesco, quel povero che il giorno prima era stato condotto in sua presenza. 

Ora, la palma è un simbolo usato dai Sufi e questo sogno è probabilmente la conseguenza dell’analogia usata da Francesco durante l’udienza. Papa Innocenzo, quindi, diede il permesso per la fondazione dei «Frati Minori » o francescani.

Umiltà a parte, sarebbe più facile pensare che esistesse un Ordine noto come “Frati Maggiori”, se così fosse quale sarebbe il collegamento ? Le uniche persone conosciute con questo nome e contemporanee di Francesco aventi il nome appunto di «Frati Maggiori» facevano parte di un Ordine di Sufi fondato da Najmuddin Kubra, detto «il Più Grande». 

Una delle maggiori caratteristiche di questo grande Maestro Sufi era la sua misteriosa influenza sugli animali. Le immagini lo mostrano circondato da uccelli… 

Domò un cane feroce semplicemente guardandolo negli occhi, come fece Francesco con il lupo di Gubbio. I miracoli di Najmuddin erano ben noti in Oriente sessant’anni prima della nascita di Francesco.

E con questo, tolgo il disturbo e vi auguro, ripetendovi le parole di Francesco:

La pace di Dio sia con voi 
a cura di Neferkr