venerdì 30 dicembre 2022

Dalla fonte Mercuriale alla Congiunzione

“Guardatevi intorno, interrogate la vostra propria natura. Non vedete che, nell’uomo e negli animali, la fecondazione e la generazione avvengono, grazie alla particolare disposizione degli organi, in una totale oscurità, che viene mantenuta fino al giorno della nascita? — È forse in superfìcie, in piena luce, — o nelle profondità della terra, — nell’oscurità, — che i semi vegetali possono germogliare e riprodursi?” (Il Mistero delle Cattedrali. Fulcanelli. p. 115)

 

Dalla fonte mercuriale alla congiunzione


“In senso psicologico l’unione della coscienza (il Sol) con la sua controparte femminile, ossia l’inconscio (Luna), ha anzitutto un risultato indesiderabile: ne derivano animali venefici, come il drago, il serpente, lo scorpione, il basilisco, il rospo, poi vengono il leone, l’orso, il lupo, il cane, e infine l’aquila e il corvo.

I primi ad apparire sono, dunque, gli animali a sangue freddo; poi vengono i predatori a sangue caldo; infine, gli uccelli rapaci o i divoratori di carogne, che sono animali del malaugurio.

La prima progenie del matrimonio luminarie non è quindi granché rallegrante: ma questo può dipendere soltanto dal fatto che in entrambi i genitori è presente un male oscuro che si rivela nei figli, come sovente accade nella vita degli esseri umani” 
(Mysterium coniunctionis, Luna, p.139, C.G.Jung)

 

 


“Già all’inizio si incontra il drago, lo spirito ctonio, il “demonio”, la nerezza, la nigredo, come la chiamavano gli alchimisti, e questo incontro provoca sofferenza. La materia continua a soffrire, fino alla scomparsa definitiva della nigredo; ovvero, in termini psicologici, l’anima cade in preda alla melanconia, è imprigionata nella lotta con l’Ombra. 

Il mistero della coniunctio, il mistero centrale dell’alchimia, mira appunto alla sintesi degli opposti, all’assimilazione della nerezza, all’integrazione del demonio. Per il cristiano “risvegliato” si tratta di un’esperienza psichica molto importante, perché è un confrontarsi con la propria Ombra, con la nigredo, che rimane separata, che non può mai essere completamente integrata nella personalità umana. 

Nel dare un’interpretazione psicologica del confronto del cristiano con la propria Ombra, con la nigredo, viene alla luce la segreta paura che il demonio possa essere il più forte, che Cristo non sia riuscito a vincerlo del tutto. 

A livello psicologico, tutti questi simboli e tutte queste credenze sono interdipendenti: si tratta sempre di combattere contro il male, contro Satana, e di vincerlo, vale a dire di assimilarlo, di integrarlo nella coscienza. 

Nel linguaggio degli alchimisti, la materia soffre finché la nigredo non scompare; allora la “cauda pavonis” annuncerà l’aurora e sorgerà un nuovo giorno, la leúkosis o albedo” (Jung intervista di M. Eliade)

“La crisi identitaria diventa necessaria e funzionale, “ripetuta” diverse volte nel percorso di vita “apre” accessi nuovi da nuovi inizi. Il “nero più nero” è anche definito pertanto il “Caput artis”, e chi cura le anime sa quanto la conoscenza dell’ Ombra ed “il buio dell’anima” sono funzionali al “cambiamento” (J.Hillman. Psicologia Alchemica)

“Nella traslazione l’uomo si imbatte in ciò che non vorrebbe essere (l’ombra), in ciò che non egli ma l’altro è (realtà dell’altro) e in ciò che costituisce il suo non io psichico, l’inconscio collettivo” (C.G.Jung)

UNO - La Fonte Mercuriale


Il primo passo per comprendere cos’è la Coniunctio è il luogo (spaziale) e temporale (uno stadio, definito Nigredo) dove tale processo avviene. Spaziale è un termine fisico quanto astratto, come rivela il Fulcanelli è un luogo reale (dove non c’è luce, come sottoterra o nell’utero) ma anche astratto, come è nel mondo dell’inconscio, dove appunto non c’è la luce della Coscienza. 

Tale possibilità sembra essere legata quindi a quelle forze “oscure”, diremmo ctonie, che abitano il buio (un altra lettura ancora più fisica ad esempio è quella dell’energia oscura e materia oscura teorizzata da diversi fisici e che rappresenta la maggiore quantità del cosmo). 

E’ chiaro che lo stesso Hillman la definisce crisi identitaria, dove Jung ne osserva l’aspetto terribile e demoniaco, di questo luogo oscuro, spazio di passaggio per il cambiamento. La Coniunctio diventa nuovo inizio prima però è necessaria la morte e lo sposalizio con il mondo infero popolato da mostri e demoni (diremmo le nostre esperienze traumatiche). 

Noi diremmo che è lo spazio Mercuriale, quello del Caos Informativo, dove tale potenzialità (di vita e congiunzione) è possibile. Naturalmente, come già è stato detto, la Coniunctio determina la Coscienza dell’Uomo, nel senso della sua autoconoscenza (Coscienza collettiva della specie?) che va dalla conoscenza dell’Ombra, al riconoscimento dell’Altro dopo il ritiro delle proprie proiezioni fino ad identicarsi con il Sé (il processo d’individuazione). 

Sintetizziamo questa Fonte Mercuriale come la descrive Jung nel primo step della psicologia della Traslazione:la fonte mercuriale: rappresenta il luogo della trasmutazione, dal caos alla quinta essenza (evidenziabile al centro in alto, come stella), e racchiude tutti gli elementi necessari a tale processo: il quadrato determinato dalle quattro stelle ai lati, come il respingersi reciproco degli elementi (che rimanda al caos), la triplice fonte mercuriale di vita e cambiamento dinamico che conduce ai tre mondi inorganico, organico, psichico, la dualità dei due metalli preziosi oro e argento, sole e luna vivificati dall’amore degli dei che vince l’odio degli elementi, l’acqua permanente che si raccoglie nel bacino tondo o utero dove crogiolano gli elementi in metamorfosi che si ridurranno all’essere completo e unico. 

Tutto avviene qui, la prima immagine del Rosarium (scelto da Jung per illustrare tutto il processo della traslazione/coniunctio) mostra che la fonte Mercuriale inoltre si rigenera da sola, attraverso la ciclica ascesa e discesa dell’acqua permanente che la rappresenta, simbolizzata dallo stesso serpente mercuriale, come un processo di evaporazione e condensazione, che purifica il foetor sepulcrum e che rimanda inevitabilmente al ruolo attivo-passivo (testa che divora-coda divorata) del serpente uroborotico (ed al meccanismo di coobazione utilizzato nelle storte alchemiche). 

Un passaggio dal 4>3>2>1 (l’Assioma di Maria), che dai quattro elementi del caos va al Filius philosophorum. Tutto il processo della Coniunctio avviene in questa profonda e nera aqua mercurialis/vitae dove, vedremo, i due sposi (Re e Regina) si uniranno.

“Unisci ciò che è completo e ciò che non lo è, ciò che è concorde e ciò che è discorde, ciò che è in armonia e ciò che è in contrasto” (Eraclito Frammenti, 540-480 a.C.)

“Ognuno di noi è seguito da un’ombra. Meno questa è incorporata nella vita conscia dell’individuo tanto più è nera e densa” (C.G.Jung)

“Il processo d’individuazione ha due aspetti fondamentali, da un lato è un processo d’integrazione interiore, soggettivo, dall’altro è un processo oggettivo, altrettanto essenziale, di relazione. Nella traslazione compare l’incesto, che simboleggia l’unione dell’essere con sé stesso, è l’unione del simile col simile, stadio che segue immediatamente l’idea primordiale dell’autofecondazione. 

La cura della traslazione è, per il paziente, una rara e inestimabile occasione per ritirare le proiezioni, per integrare la personalità. Ogni traslazione ha sempre dal principio un aspetto oscuro, per la presenza dell’ombra nera, il sol niger, l’aspetto inferiore e nascosto della personalità. 

La realizzazione cosciente dell’unificazione interiore implica come condizione irrinunciabile il rapporto umano, perché senza il consapevole riconoscimento e l’accettazione di ciò che ci lega al prossimo non si dà sintesi della personalità. Permette al paziente stesso di conquistare la prospettiva necessaria ad una libera scelta” (C.G. Jung)

“Coniunctio, L’uomo senza relazioni non possiede totalità, perché la totalità è raggiungibile solo attraverso l’anima, la quale non può esistere senza la controparte, che si trova nel Tu” (C.G.Jung)


DUE - Re e Regina


Abbiamo visto nel precedente post il luogo dell’incontro, la Fonte Mercuriale, luogo di nascita e rinascita, dove la Materia si autogenera in un ciclo continuo di fine ed inizio. Nel passaggio successivo, seguendo lo schema Junghiano che utilizza le immagini del Rosarium Philosophorum, vediamo i protagonisti della Coniunctio, il Re e la Regina.

 I due protagonisti s’incontrano nelle loro vesti formali, scambiandosi la mano sinistra. Il “sentiero della mano sinistra”, come chiamato da altre forme di tradizione religiosa (tantrismo indiano), naturalmente allude al contatto oscuro, del mondo sotterraneo, diremmo dell’inconscio (e si ritorna alla fonte mercuriale). 

Quindi allude anche al mondo delle pulsioni, finanche “passionale” che è controbilanciato dal contatto delle mani destre, che è però “mediato” dai due steli recanti rispettivamente due fiori ed un ulteriore stelo con un solo fiore che incrocia i due, sostenuto da una probabile colomba dello Spirito Santo a sua volta unita alla stella della Quintessenza dell’immagine precedente. Quindi mentre il contatto “sinistro” è diretto (ombroso-inconscio e del cuore) il contatto “destro” è indiretto attraverso gli elementi aria e fuoco maschili e attivi (i due fiori), terra e acqua femminili e passivi.

 Il contatto della quaternità è assicurato dalla quinta essenza rappresentato dalla colomba dello spirito e della riconciliazione, che dovrebbe favorire l’unione dei quattro elementi separati. Jung definisce la somma dei tre steli con i cinque fiori un ogdoade, che vedremo diverrà nello step successivo un esade. 

I due regali personaggi sono incestuosi perché simili (in realtà nel passato spesso i reali erano parenti tra loro, come tralaltro le stesse divinità pagane), essi sono ancora nascosti nei loro panni convenzionali, ma qui si annuncia una prima familiarizzazione, (nel transfert psicoterapeutico un’eventuale reminiscenza del passato infantile, che sarà proiettata sul terapeuta nella traslazione). Jung individua inoltre l’importanza del rapporto determinati dalla libido divisa in esogamica (che favorirà la nascita della civiltà, la ricerca dell’oggetto sessuale fuori dall’ambito familiare-gruppo-tribù) e endogamica (incesto), che proibita sarà da spinta all’evoluzione spirituale dell’uomo. 

Ed è appunto l’incestuosità endogamica inibita che permette al mercurio autofecondante di spianare le sue spire ed allargare l’osservazione di sè, nel momento in cui ciò accade diventa attivo e sulfureo, quindi “libidico” ma inibito quindi conoscitivo, senza appagamento immediato. Quindi inibendo la carnalità del rapporto viene favorito il processo parallelo, appunto spirituale (o conoscitivo), e questo accade anche nella traslazione terapeutica. 

Ogni elemento contiene in se il suo opposto ed è per questo motivo che in questa fase abbiamo l’incontro con l’Ombra (in questo caso con la contropolarità sessuale) rappresentato dall’Anima. Le due figure rappresentano in effetti le controparti “interiori”, inconsce, opposte sessualmente ai due protagonisti della coniunctio. 

Quindi il Re è l’Animus della donna, la Regina l’anima dell’uomo. Mentre l ‘uomo e la donna (o il paziente ed il terapeuta) s’incontrano lo stesso lo fanno anche le “immagini” che hanno rispettivamente delle loro controparti sessuali, immagini “animiche”. Attratti da quel meccanismo oscuro, istintivo che chiamiamo eros (o libido) contemporaneamente però, con la presa di consapevolezza necessaria (la quintessenza?), autosvelano a se stessi l’immagine che hanno dell’altro di sé attraverso l’altro da sè. 

Passaggio che poi permetterà di riconoscere l’origine interiore della stessa (ritiro proiettivo ed accesso alla propria anima). Viene trasmessa dunque l’informazione insita nella materia stessa grazie al dono della Quintessenza che potremmo tradurre come intuito/intelletto che inizia a riconciliare gli opposti. Il Mercurio come è facile osservare presiede sia all’Eros passionale-istintivo-ctonico, necessario all’aggancio (delle due mani sinistre) sia alla conciliazione dei due simili (io e regina, lei ed il re) attraverso la relazione con l’altro (ognuno svela a se stesso l’immagine proiettata della controparte sessuale che porta dentro, che in ambito psicoterapeutico è quella acquisita con il genitore di sesso opposto) che permette infine alla coscienza di denudare la sua intimità, di svelare l’Ombra che la determina.

TRE - La nuda verità

Nello step successivo i due personaggi regali sono nudi, ed hanno compiuto l’unione dei simili (che precede sempre la congiunzione degli opposti). Gli steli sono diventati tre come tre i fiori, la prima opposizione “elementare” è stata risolta, l’incontro con l’Altro ha reso i due protagonisti non più estranei a se stessi, i veli pudichi sono caduti, ci si è spogliati delle difese al cammino della verità soggettiva di individuazione. 

L’uomo appare com’è veramente sotto la copertura dell’adattamento convenzionale, ossia l’Ombra. Potrà incontrarla e assimilarla al suo Io e potrà vedere la propria completezza. L’amore terreno viene unificato (nudità) e vivificato dallo spirito. 

L’uomo è tutt’uno con la sua natura ctonia. Il diretto contatto sinistro è venuto meno, ora il contatto sia sinistro che destro è mediato dai rami e dai fiori dei quattro elementi naturali, i fiori sono toccati dalla destra femminile che compensa la passività dei suoi elementi, e dalla sinistra maschile che compensa l’attività dei suoi elementi. Nella relazione i due inconsci si attraggono per arrivare all’unità, e il fuoco alchemico del processo all’inizio è temperato per arrivare poi alla massima intensità.

“La realizzazione della totalità è un processo intrapsichico che dipende essenzialmente dal fatto che l’individuo è in relazione con un altro individuo. L’essere in relazione è un modo di preparare e rendere possibile l’individuazione” (C.G.Jung)

La Solutio è il dolce naufragare nel mare magnum dell’indifferenziazione, visto non come dissoluzione (non esiste la dissoluzione vera e propria perché la Materia non scompare mai cambia forma o diventa energia) ma come azione di unione dissolvente tra estremi contrari, testa-coda, spirito-materia. Questa “possibilità” è resa tale sempre dal mediatore, dall’enzima catalizzatore o dall’azione fisica di calore o movimento. 

Il mediatore è l’Anima (rappresentata dalla colomba e dall’acqua nell’immagine), dall’alto e dal basso, quindi attraverso nobili fini e passioni oscure (in ambito spagirico diremmo che l’anima “anima” le forze fisiche e chimiche della solutio, compreso le famose dinamizzazioni omeopatiche). Un processo del genere porta gli elementi ad una fase originaria, indietro nel tempo (reincrudatio) e li avvicina al quantum caotico delle origini, ma per adesso vi è ancora l’anima come “tensione” che unisce e rende attivo il processo. 

Passione (soprattutto) e sentimento stanno “lavorando” per rendere la coniunctio possibile…

QUATTRO - L’immersione nel bagno


La coppia regale di simili si immerge nell’acqua psichica dell’inconscio, l’altro mondo, il liquido amniotico dell’utero gravido che contiene in sé ogni elemento necessario alla creazione del nuovo essere completo. 

La vasca accogliente sta arrotondando il quadrilatero verso una forma circolare dove gli elementi non confliggono tra loro. I due sono uniti dalla colomba dello spirito e dall’acqua nutriente. 

Ci sono tutte le condizioni affinché maschile e femminile possano generare una nuova creatura e possano relazionarsi con l’altro da sé. L’essere in relazione dei due e la combinazione di Io e Tu apre la strada alla completezza e alla totalità, preceduta a sua volta dall’individuazione.


CINQUE - La Congiunzione 



L’amplesso passionale che genererà il “filius philosophorum”, il Lapis, ha riportato i due nel caos primordiale, nella massa indistinta. Diventano uno nel corpo e rinunciano per un istante alla loro parte spirituale per diventare unione degli opposti a livello biologico e istintuale. 

Ma l’ambiente che li accoglie è acqueo, inconscio, profondo; lì nasce l’inizio di una gestazione, che è anche parallelamente il punto d’arrivo di un lungo processo e la meta di uno sforzo. 

La traslazione è ora al punto in cui si può incontrare l’altro al di là delle proprie proiezioni, che sono state assorbite, e ognuno dei due è divenuto uno da due, ha integrato l’Ombra e ritirato le proiezioni sull’altro, e dunque può accogliere l’altro per ciò che l’altro è e non per ciò che vuole che sia. 

Si contatta l’altro ma anche il proprio Sé. Il quattro si è ridotto a due, si trasformerà in Uno e lascerà il posto al terzo. 

Ma non prima che la coppia sia stata definitivamente “digerita” attraverso un processo lungo di cottura e coobazione, che lascerà quel “residuo” (morte e ascesa dell’anima) pronto ad essere rianimato (purificazione e ritorno dell’anima) come terzo…

Continua. (C. Ferraro)







sabato 24 dicembre 2022

Bestiario Alchemico di Hieronymus Bosch


Jeronimus Bosch 

Hieronymus Bosch e il bestiario alchemico 

Estraneo alla rappresentazione idealizzante della natura, Bosch si impose nell’immaginario collettivo come pittore di visioni oniriche, e così è stato in effetti definito nel corso dei secoli fino ai nostri giorni: come pittore del fantastico e del sogno, o anche dell’incubo, pittore del demoniaco e dell’inferno per eccellenza. 

Eppure le sue opere rimandano sempre ad una realtà altra, in cui le categorie tradizionali di Bellezza, Eternità e Senso sono (ancora) presenti, seppur in forma rinnovata.

«Bosch fa parte di quei pochi pittori che hanno uno sguardo magico – in realtà era più che un pittore! Indagò il mondo delle visioni, lo rese trasparente e ce lo mostrò così come era in origine». 

Che lo si sia visto o meno al Museo Nacional del Prado, il Trittico del Giardino delle delizie è un’opera che rimane saldamente nel proprio immaginario. Un caleidoscopio di figure dai sentimenti contrastanti nel quale perdersi, attraverso cui superare il principio di realtà e la sicurezza razionale. 

Eppure, contemporaneamente, questa pletora di suggestioni vivifica i meccanismi razionali, la volontà di comprendere, la tensione verso la conoscenza. Su questa premessa inizia la ricerca. Ci si imbatte, quasi per caso, in una delle tante versioni (quella ridotta) della meravigliosa edizione della Taschen curata e commentata da Stefan Fischer, che presenta l’opera completa del pittore olandese. 

Gli elementi onirico-fantastici del Giardino trovano conferma in altri lavori dell’artista e quest’acquisizione porta a confrontarsi con uno studio fatto in passato. È il bello della cultura: stratificazione e relazionalità.

Nella sua introduzione a Malevič, Giuseppe Di Giacomo, sulla scia della Teoria estetica di Theodor W. Adorno, distingue tre tipi di arte: tradizionale, d’avanguardia e moderna. La prima, collocata tra il Trecento e l’Ottocento, «è caratterizzata da un naturalismo e da un mimetismo sempre più forti, come se il quadro avesse la funzione di rispecchiare la realtà, tanto da mettersi da parte come quadro per fare apparire la realtà stessa» . 

La reazione ad opere in questo tipo può essere riassunta nella formula «Che bello! Sembra vero». Evidentemente, questa classificazione e il giudizio che ne deriva non si sposano con Hieronymus Bosch.Ritratto di Hieronymus Bosch

Allo stesso tempo, egli non può essere considerato un moderno per ragioni non soltanto temporali, ma anche e soprattutto contenutistiche, visto che dal Novecento «questa linea naturalistica e illusionistica si interrompe e l’attenzione viene portata sempre più sugli elementi del quadro e non su ciò che il quadro rappresenta, tanto che si può affermare che esso non “rappresenta” qualcosa d’altro da sé ma “presenta” se stesso» [4]. Bosch è dunque un avanguardista. 

I suoi quadri non presentano se stessi, ma rimandano ad una realtà altra. Le categorie tradizionali di Bellezza, Eternità e Senso sono (ancora) presenti, seppur in forma rinnovata. Un’innovazione radicale capace di suscitare, tra i contemporanei e non, un commento incredulo come «Che bello!? Non sembra vero». Fischer sembra avvalorare questa prospettiva :


«In un’epoca, definita da alcuni Tardo Gotico e da altri Primo Rinascimento, in cui l’arte tendeva sempre più verso armonia e splendore, illusionismo e monumentalità, il pittore neerlandese Hieronymus Bosch (1450-1516) percorso tutt’altro cammino. 

Estraneo alla rappresentazione idealizzante della natura, Bosch sarebbe allora un pittore delle visioni oniriche. E così è stato in effetti definito nel corso dei secoli fino ai nostri giorni: come pittore del fantastico e del sogno, o anche dell’incubo, come pittore del demoniaco e dell’inferno per eccellenza».

Questa riduzione della sua opera alla dimensione del fantastico e del sogno è stata utilizzata da molti in senso negativo. Di fatto, tanti non hanno compreso Bosch. Non potevano farlo, perché in questo risiede il destino amaro dell’innovatore. Pochi hanno capito che la sua non era una vile fuga onirica, ma un continuo riferirsi alla realtà con un linguaggio altro, immortale. 

Si sta parlando di un artista erudito, perfettamente inserito nella dimensione sociale e nel contesto culturale del suo tempo: «La sua stessa arte era insegnamento umanistico cristiano, testimoniato dalla sua vasta conoscenza della materia biblica e delle vite dei santi, ma anche dalla simbologia e dei bestiari medievali» .

È su questo sostrato che egli interviene attivamente, soprattutto attraverso il ricorso alle cosiddette drôleries, un termine che «compare nel tardo XVI secolo in Francia e si riferisce in generale alle rappresentazioni figurative o sceniche grossolanamente comiche e grottesche» . 

Il punto è che, anche nei loro corrispettivi tedeschi e olandesi (drollen e grillen), questi elementi erano presenti in un certo tipo di rappresentazione dell’epoca, ovvero nell’arte medio-bassa, mentre :




«Bosch fece propria questa tradizione delle drôleries, trasferendola dai luoghi marginali della miniatura, dell’architettura ornamentale e della xilografia alla pittura su tavola. Il fatto straordinario è che molti temi di Bosch non trovano nessun esempio nella tradizione figurativa dell’epoca ma sono documentabili solo nella letteratura: in altre parole, con ogni probabilità fu proprio lui il primo a trasporli in pittura».

La formazione alta dell’artista viene dunque contaminata volontariamente da forme fino a quel momento considerate basse e del tutto estranee ad un certo tipo di contenuto artistico. Così facendo, il grottesco viene elevato, reclamando un posto di diritto nella storia dell’arte. E, alla fine, lo ottiene. Ripercorriamo alcune tappe di questa progressiva e condensata affermazione, accennando appena alla ricchissima disamina che ne fa Fischer nel suo volume.


L’Adorazione dei Magi (circa 1485-1500)


In questo dettaglio de L’Adorazione dei Magi (databile tra il 1485 e il 1500) si scorge un’anticipazione delle drôleries. Le figure sullo sfondo, dai caratteri oscuri, sono capitanate da un soggetto seminudo che rimanda «in modo distorto ai caratteri distintivi di Cristo» [9] (la Corona con l’intreccio di spine, la piaga sul polpaccio, la propensione carismatica che lo pone a guida della folla). Egli evocherebbe dunque la manifestazione dell’Anticristo.

Più che nella realizzazione, i caratteri grotteschi di questa scena emergono dalla sua costruzione. Se, come rivela Fischer, l’impianto del Trittico è costruito a partire dalla narrazione del Vangelo di Matteo (2,10-11) [10], perché introdurre una figura estranea e portatrice di un messaggio in contrasto con la scena stessa? È il prodromo dello scontro, formale e contenutistico, che dominerà le produzioni successive.


Tentazione di Sant’Antonio (1502)


È con il trittico della Tentazione di Sant’Antonio (1502) che le drôleries si impongono come gli elementi prevalenti nelle opere di Bosch. In questo dettaglio dell’anta centrale, il Santo è accovacciato sui resti di una torre, mentre ricerca lo sguardo dello spettatore, benedicendolo. L’unica figura di conforto è rappresentata dal Cristo crocifisso, saldo nell’edificio in rovina, accanto a cui è lo stesso Antonio ad apparire, in cerca di rifugio.

Il resto è irrimediabilmente corrotto, una boriosa prefigurazione dell’inferno, in cui i soggetti contaminati interagiscono disordinatamente: «In contrasto con l’apparizione di Cristo sull’altare, il diavolo inscena attorno a Sant’Antonio una parodia della santa messa con tanto di sermone, musica, Eucaristia ed elemosina» [11]. La deformità delle figure è accompagnata dalla distruzione del paesaggio naturale sullo sfondo.

Tentazione di Sant’Antonio, dettaglio (1502)


In quest’altro dettaglio dell’anta sinistra della Tentazione, viene raffigurata una scena di vita (leggendaria) di Antonio, che Bosch conosce attraverso la Vitae patrum. Caduto in estasi durante la meditazione, il santo viene rapito e interrogato dai demoni riguardo i suoi peccati in gioventù. I demoni accusatori, «diaboli nel significato originario del termine: calunniatori e diffamatori che portano la discordia tra gli uomini» [12], assumono diverse forme. Un lupo, un cavaliere in sella a un pesce, un omuncolo accovacciato e altri esseri grotteschi minano l’integrità dell’eremita.



Giardino delle delizie, anta sinistra (1503)


Il trittico del Giardino delle delizie (1503) è l’opera più famosa di Bosch. «La funzione o l’intenzione dell’opera deve essere intesa nel suo duplice aspetto, ossia quello didattico e quello ludico» [13], sebbene nel tempo si siano alternate interpretazioni molto accentuate nella prima (José de Sigüenza) o seconda (De Beatis) direzione. Nell’anta interna sinistra a dominare, sopra l’unione tra Adamo ed Eva sancita da Dio e lo scenario idilliaco popolato da animali fantastici e non, è la fontana dell’Eden [14]:

«Di solito la fontana è raffigurata come un’architettura romanica o gotica per indicare la sorgente dei fiumi del paradiso e mostrare l’amenità del giardino dell’Eden. Bosch l’ha rappresentata essenzialmente come un organismo vivente o meglio come un vegetale e le ha conferito lo stesso colore rosso pallido con cui dipinge la veste di Cristo».

Un uso dunque totalmente positivo degli elementi soprannaturali e per questo innovativo nel suo percorso artistico.


Giardino delle delizie, pannello centrale (1503)


Il pannello centrale raffigura l’umanità prima del diluvio universale. In opposizione all’immobilismo della creazione, qui tutto è in movimento, comprese le strutture organiche che rimandano alla fontana dell’Eden. Nella parte centrale qui in evidenza, la dinamicità è esasperata. Attorno alla vasca centrale colma di donne (simbolo di inclinazione al peccato e stoltezza diffusa), procede una cavalcata incessante di figure: «I cavalieri acrobatici sono gli “sciocchi di Venere” che, spronati dal desiderio amoroso cavalcano in un cerchio senza fine. 

Gli animali come il cinghiale, l’unicorno, il cavallo, l’asino, l’orso, il caprone, il toro, il dromedario o il cammello, il leone e la pantera corrispondono ai vizi della luxuria, della gula, dell’avaritia, dell’ira e della superbia, per quanto l’ordine non sia sempre chiaro» [15]. 

Aggiungiamo che a non tutti gli animali in questione va attribuita una valenza negativa. Alcuni, come l’unicorno, simboleggiano virtù, piuttosto che vizio [16]. Inoltre, gli animali presenti sono molti di più di quelli riportati da Fischer, il che complica ulteriormente la situazione. Così come l’umanità viene presentata nella sua precarietà, lo sguardo dell’osservatore si perde nella sovrabbondanza degli elementi proposti. Solamente la loro spiccata caratterizzazione e l’ordine strutturale tripartito dell’anta impediscono che si annullino reciprocamente.


Giardino delle delizie, anta destra (1503)


L’anta destra rappresenta l’inferno. Qui il dinamismo precedente si è trasformato in caos. Le figure, seppur non vengano meno al principio di individuazione, non sono più ordinate all’interno del dipinto. Si accavallano, si danneggiano, si divorano. Bosch presenta le drôleries nella loro forma più grottesca e dissacrante.

Sono due le figure che catturano maggiormente l’attenzione. La prima è il gigantesco uomo albero al centro, ricettacolo di peccati, non affatto nascosti, bensì evidenziati dalla sua postura impudica e provocatoria. L’interesse per questa creatura aumenta ancor di più quando si scopre un disegno di Bosch intitolato L’uomo-albero, databile tra il 1503 e il 1506, in cui il protagonista è praticamente speculare, seppur inserito in un contesto completamente diverso, ovvero in armonia con la natura circostante. 

La seconda è il «diavolo defecatore sul “trono” in basso a destra. Il mostro blu dalla testa di uccello siede su un trono che gli serve da toilette o seggiolone e ingoia un dannato al quale escono dall’ano uccelli, fumo e fuoco. Il grande paiolo sulla sua testa illustra il grande appetito del diavolo» [17].


Giudizio universale (1506-1508)

Se, nonostante l’inferno, osservando il Giardino delle delizie prevalgono sentimenti positivi (ma non per questo necessariamente idilliaci), nel Giudizio universale (1506-1508), l’ultimo grande trittico dell’artista, la situazione è ribaltata, così come testimonia il pannello centrale. 

Impostato a partire dal Vangelo di Matteo (25,31-33) [18], il dipinto presenta una sproporzione assoluta tra redenti e dannati. Come rimarca Fischer, questa scelta «è inconsueta nella pittura su tavola, dove le anime appartenenti ai due gruppi sono solitamente rappresentate in numero quasi uguale» [19]. I dettagli dei corpi sono tra i più inquietanti: corrotti, squarciati, bruciati, martellati da un torturatore demoniaco e impalati su alberi secchi.

Le drôleries, sia sotto forma di richiami raccapriccianti che di scenari estatici, continuano ad alternarsi nelle opere più tarde, come nelle quattro Visioni dell’aldilà. Questi elementi sono la caratteristica principale ed innovativa di Hieronymus Bosch, che gli permette di affermarsi in tutta Europa. Tra gli altri, Enrico III di Nassau e Filippo I d’Asburgo gli commissionano alcuni dei suoi lavori più importanti. Dopo la sua morte, Filippo II di Spagna si rivela un suo grande collezionista ed è per questo che la Spagna è, ancora oggi, la più grande depositaria dei suoi lavori.

Nel corso dei secoli, Bosch è stato deriso, criticato, difeso, elevato e consacrato. Eppure, a secoli di distanza dalla sua scomparsa, l’impressione, per gli esperti e per i profani, è che la sua arte abbia ancora molto da dire [20]:


«Continuerò a pensare che il segreto dei [suoi] magnifici incubi e delle sue visioni non sia ancora stato svelato. Finora abbiamo aperto alcuni spiragli nella porta di una stanza chiusa, ma a quanto parte la chiave per aprirla non è stata ancora trovata».

di Lorenzo Pennacchi

venerdì 16 dicembre 2022

Transustanziazione e Coscienza


Transubstantiation 


Transustanziazione e Coscienza 

Tratto da Apocalisse ed agire sacerdotale di Rudolf Steiner
Corsi e conferenze su opere cristiane e religiose riprodotte da appunti dei partecipanti.
Seconda Conferenza Dornach, 6 settembre 1924



Per il momento, vogliamo trattare più da vicino il rapporto fra l’Atto di Consacrazione dell’uomo e l’apocalittico, per poi accostarci all’apocalisse di Giovanni, con tutta la sua importanza per l’azione sacerdotale del presente e del futuro.

Ieri abbiamo dovuto fare accenno alle tre diverse epoche dei misteri, in quanto questi misteri, tentavano di porre il sacerdote nell’atmosfera apocalittica attraverso quanto succedeva in lui. Abbiamo fatto accenno sia a dei misteri molto antichi, in cui gli stessi 

Dei si calavano per agire assieme agli uomini nei misteri stessi, sia ai periodi dei misteri semi‑antichi, in cui gli Dei mandavano le loro forze per permettere agli uomini di agire assieme agli stessi Dei nell’universo, per il fatto di vivere nell’ambito delle forze divine.

Dissi: nella terza epoca, la via relativa ai misteri semi‑nuovi, si capovolse completamente. Qui si trattava per l’uomo di formare quelle forze che in un primo momento, doveva sviluppare da solo per essere ricondotto agli Dei. E qui vediamo come attraverso l’intonazione della parola sacra, l’uomo cercasse, nella cerimonia di culto, la via alle forze divino‑spirituali, in modo tale da percepire nella parola, l’agire divino‑spirituale.

Accadeva infatti, sia che questa parola magica parlasse nel fumo, nel modo ieri accennato e attraverso la parola, dal fumo essa producesse l’immaginazione, sia che la stessa parola agisse nell’intera disposizione animica dell’uomo.

A questo sviluppo, attraverso l’uomo di un certo senso religioso, che si può descrivere solo separatamente, procedeva sempre parallelamente ciò che ne era una necessaria premessa: una certa forma di transustanziazione, il fulcro del sacro Atto di Consacrazione dell’uomo. I sacerdoti del presente e del prossimo futuro, sono chiamati a vivere in una nuova forma questa transustanziazione, e tutto ciò che si trova nell’agire sacerdotale.

Sarebbe bene capire a fondo in che cosa, la transustanziazione e l’apocalisse consistettero propriamente nella vita e nei quattro periodi susseguenti l’uno all’altro dello sviluppo dell’umanità.

Misteri antichi.

Il primo: l’Atto di Consacrazione dell’uomo ‑ con la transustanziazione ‑ è un agire dell’uomo in comunione con il mondo divino‑spirituale. Senza la coscienza del fatto che l’uomo può agire in comunione con gli Dei, senza questa coscienza non è possibile un agire sacerdotale.

Gettiamo ancora uno sguardo alla forma più antica dell’Atto di Consacrazione dell’uomo e alla forma più antica del transustanziare, e troviamo che in certi periodi, proprio nella differenza, fra ciò che si può calcolare nell’ordine cronologico e ciò che si compie nel cosmo, gli Dei trovavano la via verso gli uomini.

Gli Dei si calavano in questi periodi liberi, nei periodi sacri, in cui l’uomo, nei tempi da lui stesso calcolati, poteva introdurre qualcosa perché l’andamento del cosmo non coincideva con i suoi calcoli.

Così in questi periodi, in cui l’uomo si trovava direttamente sotto l’influsso cosmico per compiere la transustanziazione, conservava un pò di queste sostanze che dal cosmo avevano subìto una metamorfosi, per compiere con quanto conservato, la transustanziazione nei periodi successivi.

In questi tempi, le caverne nella terra e nella roccia erano i siti dei sacerdoti e dei credenti adatti alla transustanziazione. In effetti, ovunque ai tempi dei misteri antichi, in cui veniva sviluppata una piena coscienza della presenza degli Dei e dell’importanza della transustanziazione, vediamo come ci si sforzi di porre l’azione sacra, in templi di roccia, in templi di terra, nel sottosuolo terrestre.

Il fatto che si provasse a fare ciò, era in relazione alle esperienze e agli avvenimenti che il sacerdote faceva durante la transustanziazione. La transustanziazione consiste proprio nel cambiamento della sostanzialità data dalla materia terrestre. 

E volendo seguirne completamente il processo, a questa si può aggiungere la comunione: l’Atto di accogliere la transustanziazione nel proprio essere umano, in modo tale che le due ultime parti principali dell’Atto di Consacrazione dell’uomo, la transustanziazione e la comunione, formino in questo contesto un’unità e che la lettura del Vangelo e l’offertorio, ne rappresentino la preparazione.

Vedendo in questo contesto, un’unica azione di culto nella transustanziazione e nella comunione, possiamo accennare a quella concezione che, negli antichi misteri, possedevano quegli iniziati che venivano anche chiamati i ʺPadriʺ. Con la parola Padre si accennava ad un grado dell’iniziazione e per questo motivo è rimasto quel nome che ancor oggi hanno i sacerdoti di molte confessioni.

Ora il sacerdote, compiendo la transustanziazione nel tempio di terra, nel tempio di roccia, esperiva l’unirsi in una cosa sola, del suo organismo fisico con l’intera Terra. Per questo motivo c’era il tempio nella terra, il tempio nella roccia. In verità ‑ anche vivendo con l’attuale coscienza terrena fra vita e morte ‑ dovremmo realmente sentirci uno con ciò che ci circonda nel cosmo. E accadde proprio così durante l’intero sviluppo terreno dell’umanità.

L’aria che avete ora nel vostro corpo, poco fa era fuori dal corpo e fra breve sarà di nuovo fuori dal corpo. L’aria che è fuori dal vostro corpo e l’aria che è all’interno di esso, sono una cosa sola. L’immagine nella sua interezza è questa: c’è un mare di aria e mentre l’uomo inspira, una parte di questo mare d’aria si trasforma nell’uomo stesso.

L’aria è raccolta, penetra dappertutto all’interno, riempie l’uomo ed essa stessa diviene forma umana. Questa forma si scioglie subito di nuovo, con l’espirazione nel mare d’aria. E’ un continuo nascere e deperire dell’uomo formato in forma d’aria. La cosa non viene però a nostra coscienza.

Ogni volta che l’antico yogi indiano compiva consapevolmente i suoi esercizi sul respiro, tutto ciò era presente anche nella sua coscienza. Non si sentiva distaccato, bensì una cosa sola con tutto il mare d’aria della Terra, sentiva il progressivo nascere e deperire dell’uomo in forma d’aria in ogni sistole e diastole. Ciò si può esperire senz’altro solo attraverso degli esercizi sul respiro, oggi non più adatti all’uomo.

Ma l’uomo non è soltanto un uomo terrestre sotto l’aspetto fisico. Egli è un uomo terrestre in quanto è, prevalentemente attivo, ciò che chiamiamo il corpo fisico, ma egli è anche un uomo liquido. Tutto l’uomo è pieno di liquido circolante in lui, per cui l’uomo terrestre e l’uomo liquido agiscono l’uno sull’altro e si influenzano scambievolmente. L’uomo liquido è prevalentemente dipendente dal corpo eterico, perché le forze del corpo eterico agiscono di meno in ciò che è solido e di più in ciò che è liquido.

Poi, in noi portiamo ancora l’uomo di aria e l’uomo di calore. L’uomo d’aria, che attua la respirazione è sotto l’influenza delle forze del corpo astrale e l’uomo di calore è prevalentemente posto sotto l’azione dell’organizzazione dell’Io. Bisogna ricordare soltanto che se misurate la temperatura in una qualsiasi parte del corpo, all’esterno o all’interno, questa temperatura è differente. Già questo modo grezzo di misurare il calore indica che l’uomo è un organismo di calore differenziato.

Così troviamo nell’uomo i quattro elementi: la terra sotto l’influsso del corpo fisico, l’acqua sotto l’influsso del corpo eterico, l’aria sotto l’influsso del corpo astrale ed il calore, il fuoco, sotto l’influsso dell’organizzazione dell’Io. Ciò che è stato fatto dagli antichi Padri, attraverso la transustanziazione in unione alla comunione, era il sentire l’organizzazione fisica in connessione con la Terra, quando essi si recavano nel tempio di terra o di roccia, per unirsi direttamente, crescendo, a questa evoluzione terrestre.

Tutto ciò che oggi l’uomo pensa sul proprio essere, dicendo di pensare scientificamente, è fondamentalmente falso e in fin dei conti, senza senso. Tutto quello che si riferisce all’uomo, si deve rappresentare in maniera diversa. 

E per i Padri antichi, queste rappresentazioni emergevano dal santo sacrificio dell’uomo (Menschenweiheopfer) attraverso una visione diretta, durante la transustanziazione. Essi sapevano che non respiriamo solo aria con i nostri organi di senso, e che continuamente, con i nostri organi di senso accogliamo dal cosmo tutte le sostanze possibili, attraverso i capelli, attraverso la cute, vengono raccolte tutte le sostanze possibili.

E come, chi respira coscientemente, sente di introdurre l’aria nei suoi organi di respirazione, così l’antico sacerdote sentiva nell’ambiente sassoso, all’interno del tempio sacro, che le sostanze si trasformavano in lui e che compenetravano la sua organizzazione sensoria e nervosa. Come l’uomo di aria sente scorrere l’aria quando respira coscientemente, così queste sostanze compenetravano l’intero organismo. L’antico sacerdote sapeva che l’uomo delle membra e del ricambio, nella sua composizione sostanziale, non possiede nulla di ciò che mangia.

Nulla di ciò che si mangia, entra nell’uomo delle membra e del ricambio. La sostanzialità viene presa dal cosmo. In verità, l’intera teoria alimentare odierna, è falsa. Il Padre celebrante sentiva che, quello che si mangia e che si trasforma attraverso l’apparato digerente, imbocca la strada dall’uomo del ricambio, all’uomo dei sensi e dei nervi, prevalentemente nel capo, e sapeva che ciò che si mangia viene trasformato in sostanza per il capo e per tutto quello che da esso dipende.

Ma proprio ciò che forma in noi gli organi che si occupano del ricambio, viene assunto dal cosmo, attraverso una respirazione più sottile. E così, egli sentiva la sostanzialità del cosmo, assunta da tutte le parti attraverso i sensi ed i nervi, e la sentiva costruire il proprio uomo delle membra e del ricambio. Sentiva la corrente discendente, che trae la sua origine da tutte le parti del cosmo e la sentiva fluire nel suo organismo da sopra a sotto. E sentiva che ciò che l’uomo assume direttamente come alimento e che viene trasformato dal corpo, prende la strada contraria e costruisce proprio l’uomo superiore.

Il Padre, mentre compiva la transustanziazione, aveva in sé una corrente discendente ed una ascendente. Egli poi compiva la comunione, perché il corpo fisico era in lui divenuto cosciente di queste correnti, sapendo così se stesso in relazione con il cosmo. Egli incorporava ciò che aveva ottenuto nella celebrazione sull’altare: le correnti che in lui andavano dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso.

Mentre era divenuto uno con la Terra, egli incorporava ciò che aveva preparato sull’Altare, sia tramite le correnti appartenenti alla Terra che al suo corpo, sia tramite l’elemento divino della Terra che è uno specchio dell’Universo. Egli sapeva se stesso uno con l’Universo, con ciò che è all’esterno. Sapeva che quel pasto che in tal modo aveva ingerito, era un pasto che completava il suo uomo cosmico.

Egli si sentiva risorgere attraverso ciò che scorreva dietro le correnti che andavano in basso ed in alto, egli sentiva risorgere lo stesso uomo divino che doveva essere un compagno degli Dei discesi. Si sentiva trasformato dagli Dei nel suo corpo fisico, si sentiva transustanziato egli stesso. E in questo momento esprimeva dal profondo del cuore quanto segue: ʺora non sono colui che cammina nel corpo fisico, sono colui in cui vive il Dio disceso, io sono colui il cui nome cinge tutti i suoni, che è stato all’inizio, che è nel mezzo e che sarà alla fine. Io sono l’Alfa e l’Omegaʺ.

Poi, dal modo e dalla maniera in cui la sua interiorità si conformava a questo sentire, dipendeva il livello a cui gli era possibile partecipare dei segreti del cosmo, dell’agire e del creare divino nel cosmo, del manifestarsi delle forze e delle sostanze e degli esseri nel cosmo con l’azione divino‑spirituale. Questo era l’agire del sacerdote negli antichi misteri.
Misteri semi‑antichi.

Giungendo ai misteri semi‑antichi troviamo che qui, all’interno dei templi posti nelle viscere della terra, ora posti lì non più per gli stessi aneliti d’un tempo ‑ e se lì erano posti, accadeva a causa della tradizione, tutto ciò non veniva più capito in maniera vivente, ma attraverso tutto ciò continuava a vivere nella tradizione, anche se aveva perso il suo contenuto vivente ‑, troviamo che qui, nei templi che si ergevano sulla terra, aveva un grande ruolo l’acqua santa; i lavaggi e le azioni sacrificali che hanno a che vedere con l’acqua.

Ne è rimasta la tradizione nel compimento del battesimo, nell’immersione nelle acque nel battesimo. Qui non si trattava del fatto che ciò che il sacerdote compiva fosse messo in relazione con gli elementi diretti, bensì nel fatto che, già attraverso la forza interiore applicata nell’azione sacrificale, egli divenisse uno con l’universo dell’uomo liquido: dell’uomo in cui agiscono le forze del corpo eterico. 

Ora, quando la transustanziazione veniva compiuta e quando nella consacrazione aveva luogo tutto ciò che, in qualche modo ha a che vedere con l’elemento liquido, accadeva che poi l’uomo sentisse di nuovo come ora, in lui lavorasse nel tempo l’organizzazione del corpo eterico.

E nel compimento della transustanziazione l’uomo sentiva come dall’infanzia in lui procedesse la crescita sotto l’influsso dell’elemento liquido, come di nuovo prendesse forma e come in questo scorrere dal passato al futuro attraverso il presente, agisse il corpo eterico.

Come gli antichi sacerdoti si sentivano uno con l’elemento terrestre, così chi compiva la transustanziazione nei misteri semi‑antichi della seconda epoca dei misteri, si sentiva uno con ciò che come elemento acqueo vive nel cosmo. Egli sentiva in se stesso le forze di crescita di tutti gli esseri germogliare, sbocciare, crescere, svilupparsi in un organismo evoluto e ritirarsi di nuovo in germe. 

Mentre compiva la transustanziazione sentiva questa attività sbocciante, germogliante, vivente e morente. In ogni momento poteva dire a se stesso: ʺora so come gli esseri nascono nel mondo, come muoiono nel mondoʺ.

Perché le forze ascendenti e discendenti dell’eterico erano attive in lui, sentiva, per così dire, l’eternità nella santa transustanziazione. E se di nuovo riuniamo la transustanziazione con la comunione, come un’unica azione di sacrificio, come un’unica azione sacra, allora il sacerdote che compiva la comunione, sapeva del sorgere delle sostanze trasformate, nel modo ieri descritto: nell’essere umano eterico d’acqua. 

Egli si sentiva uno con tutto ciò che conserva l’immortalità, che nasce e deperisce, che viene generato e muore nell’universo.

Nascita e morte si agitavano sopra l’altare e dall’altare fin dentro la schiera dei credenti. Era un essere compenetrati di sentimenti di eternità. E questo essere compenetrati di sentimenti di eternità, aveva preso il posto dell’antico sentirsi uno con l’intero cosmo attraverso la Terra.
Misteri semi‑nuovi.

E poi giunse la terza epoca in cui l’uomo doveva proprio convivere, nella santa azione sacra, con il divenire uno con l’elemento di aria e attraverso l’elemento di aria con il cosmo.

Il fatto di rendersi cosciente dello scorrere delle forze cosmiche divino‑spirituali sovrasensibili nell’inspirazione e nell’espirazione, veniva compiuto in un’altra maniera in Oriente dallo Yogi che anelava, da solo, come individualità umana. Lo Yogi afferra direttamente il respiro. Già in Medio Oriente ed ancor più in Europa, il respiro indifferenziato non veniva più afferrato direttamente, bensì nel respiro veniva intonata la parola magica.

Con ciò, nella parola magica, nella parola di culto, veniva colto il respiro, l’aria inspirata ed espirata. Perciò accadeva che in ciò che veniva detto nel fumo sacro o che veniva vissuto attraverso l’intonazione della parola di culto magico, si manifestasse la propensione delle forze umane ad innalzarsi alle forze divine. In un certo senso, si sentiva che si intonava da sé la parola magica, la parola di culto, la parola nella preghiera. 

Ogni preghiera in fin dei conti ha questo significato: l’uomo si sforza di elevarsi con le proprie forze nella regione divino‑spirituale; egli qui incontra gli Dei.

E mentre egli intona la parola, egli non parla più, ma nella parola di culto si esprime la divinità che si manifesta; essa si manifesta nell’elemento di aria. L’uomo , sentiva se stesso in ciò che domina le forze dell’aria partendo dal suo proprio corpo astrale.

Ed ora, dovete riflettere ancora a quanto grande e forte fu il trapasso dai misteri semi‑antichi ai misteri seminuovi, dalla seconda alla terza epoca. Quello che vivevano gli antichi Padri veniva vissuto nel corpo fisico. Era un’elevazione dell’attività del corpo fisico. Quello che viveva il sacerdote solare era un’elevazione del corpo eterico, del corpo umano dei liquidi.

Quello che viveva il sacerdote della terza epoca, mentre intonava la parola di culto veniva vissuto nel corpo astrale. Il corpo astrale è stato in minima parte, per la coscienza abituale, un mediatore della stessa coscienza. Soltanto nei tempi più antichi della terza epoca i sacerdoti potevano sentire ancora, nella parola di culto espressa magicamente, quanto segue: mentre parlo, il Dio parla in me. Poi però la cosa diminuì. Il corpo astrale rimase nei suoi effetti incosciente, a favore di quella coscienza che si avvicinava sempre di più.

Perciò il contenuto verbale del culto divenne progressivamente qualcosa che poteva significare la presenza divina a coloro che erano chiamati e significava l’intonazione di qualcosa che non giungeva loro alla coscienza. In seguito, è stato sempre di più così, per un grande numero di sacerdoti che servivano nel cattolicesimo.

Avvenne perciò che l’Atto di Consacrazione dell’uomo: la messa, divenne progressivamente qualcosa che celebrava il sacerdote in cui però egli non era più presente. Ma non è possibile celebrare intonando queste parole, senza che s’incorporino degli esseri dell’aria, cioè senza che sia presente della spiritualità.

In nessun luogo vi è una rappresentazione materiale in cui subito non prenda posto della spiritualità. E quando l’azione sacra viene celebrata con vera parola di culto, anche da un sacerdote indegno, è sempre presente lo spirituale, anche quando non è presente la sua anima, cosicché in realtà, il credente assiste ad un avvenimento spirituale in ogni circostanza, sempre che la liturgia sia giusta.

Ma dopo che il terzo stadio della terza epoca divenne sempre più decadente, le confessioni che lavoravano sempre più secondo la razionalità, le confessioni evangeliche, credettero di poter sganciare da sé soprattutto la celebrazione del culto. Non c’era più la coscienza dell’importanza del culto, della reale e diretta collaborazione degli uomini con gli Dei. 

Tutto ciò ha poi condotto ai periodi di esperienza interiore, in cui viviamo oggi. L’Atto di Consacrazione dell’uomo, che porta direttamente giù sulla Terra la vita divino‑spirituale, divenne a poco a poco qualcosa di incompreso. Quello che deve venire vissuto attraverso di esso: l’apocalittico, divenne qualcosa di incompreso.

In fin dei conti, queste erano le esperienze che hanno avuto quelli che fra voi, sono giunti qui un giorno e hanno detto: ʺdeve sorgere un rinnovamento religiosoʺ. ‑ Voi avete percepito ciò che vive nell’attuale civilizzazione e ciò che vive anche nella vita religiosa dell’attuale civilizzazione, avete percepito che la vita religiosa di tutte le confessioni è proprio staccata dal reale mondo spirituale. Avete cercato di nuovo la via verso il reale mondo spirituale.

Tutto ciò è quello che ci indica la via e che ci condurrà anche nella profondità dei misteri in relazione all’apocalisse: che la transustanziazione nella prima epoca è in relazione con l’esperienza nel mondo fisico, nella seconda epoca con l’esperienza nel corpo eterico e nella terza epoca con l’esperienza nel corpo astrale; dipende da voi, dalla vostra intima esperienza dell’agire e del tessere della spiritualità nel mondo, che l’azione sacra e l’apocalittico vengano afferrati dall’Io, quella giusta concezione di ciò che deve venire compiuto da questo movimento per il rinnovamento religioso è dipendente dal fatto che tutto venga concepito come un qualcosa da fare, quale esecuzione di un compito a noi posto, a noi posto dal sovrasensibile, un compito che pone al servizio delle potenze sovrasensibili ciò che compie.

Perché se non concepite in profondità il vostro compito, accadrà che ciò che fate si trasformerà in un qualcosa senza essenza oppure sarà stato soltanto una specie di disturbo; se voi concepite la profondità del vostro compito, sentirete questo compito unito, non con l’azione umana, bensì con l’azione degli Dei attraverso l’evoluzione.

Dovete poi dire a voi stessi: ʺNoi siamo chiamati a configurare la quarta epoca dei misteri dell’evoluzione umana della Terraʺ. Allora soltanto se avrete il coraggio, la forza, la serietà e la costanza di trovare voi stessi in questo modo nel vostro compito, solo allora questo compito si porrà al servizio delle forze che hanno fatto scorrere il contenuto di quel culto dal mondo spirituale quando eravamo qui riuniti due anni fa. Perché è reale soltanto ciò che avete intrapreso attraverso il contenuto di questo culto, che è una manifestazione del mondo spirituale e come tale si è irraggiato a voi.




E poi sentirete e percepirete sempre più quanto segue: il Cristo è penetrato dapprima con una azione cosmicamente reale, telluricamente reale nella vita della Terra. Il mistero del Golgota è presente come azione reale. Nel nostro tempo l’uomo deve unire ciò innanzitutto al suo Io. Perché il ricordo della santa cena era emerso nella terza epoca dei misteri, nell’epoca in cui il corpo astrale raccoglieva e dominava le azioni di culto che si compiono nell’elemento di aria.

Ora però, sì tratta che l’uomo in piena coscienza si leghi al Cristo e cominci a capire l’apocalisse in maniera nuova. E come si comprese l’apocalisse nella prima epoca dei misteri? La si visse come presenza degli Dei che sono l’inizio, il centro e la fine: l’Alfa e l’Omega.

Come si comprese nella seconda epoca dei misteri la presenza delle forze divine? La si visse in ciò che come musica delle sfere, risuonava attraverso il mondo della parola cosmica che fluisce dal cielo alla Terra, che tutto ha creato, che agisce in tutto, che vive in tutto.

In questo periodo si visse come in un attimo quello che è al principio, al centro ed alla fine. Si visse nella parola cosmica l’Alfa e l’Omega. E sempre quando si parlava nelle diverse epoche dell’Alfa e dell’Omega ‑ sicuramente con altri suoni, ma sempre simili ai suoni greci ‑ era presente lo sforzo di riconoscere cosa è contenuto in questo Alfa ed in questo Omega, nel primo e nell’ultimo.

E nella terza epoca dei misteri, come si comprese l’apocalittico? Si comprese l’apocalittico in modo tale che, l’uomo sviluppasse una parola di culto ancora semi‑cosciente.

Quando l’uomo intonava questa parola di culto semicosciente e questa stessa si transustanziava nel modo in cui posso illustrare con quanto seguirà, così, nella terza epoca, l’apocalittico veniva percepito. 

Forse qualcuno di voi, oppure la maggior parte di voi, in un giorno in cui poteva essere sensibile, con i sensi e l’anima, alle impressioni del mondo esterno, ha sentito qualcosa di musicale, è poi andato a dormire con questa impressione musicale e si è svegliato nel bel mezzo del sonno. Qui è forse come se vivesse in un moto ondoso, in un moto ondoso trasformato di ciò che di giorno ha udito come sinfonia.

Era così, nei sacerdoti della terza epoca. Quello che a loro accadeva è paragonabile all’esperienza banale da me prima portata. Celebravano l’azione sacra, con la parola di culto da cui esperivano che in essa era presente la divinità. Avevano mandato su, la parola di culto e la divinità era fluita all’interno della parola.

Pervenivano a quello stato d’animo in cui si conviene di allontanarsi dall’azione sacra e vivevano nel transustanziare, non solo quello che era parola di culto umana, in cui diveniva presente la divinità, bensì vivevano ora transustanziato, trasformato, ciò che avevano pronunciato; vivevano l’eco sovrasensibile di quello che avevano intonato nella liturgia della messa mentre fluiva a loro trasformato e mentre manifestava loro l’apocalittico.

Il Dio, in contraccambio per l’azione sacrificale corrispondentemente celebrata, manifestava l’apocalittico. Così si percepiva l’apocalittico nella terza epoca dei misteri.

Chi si sentiva creato a sacerdote dal Cristo Gesù stesso, il redattore dell’apocalisse di cui ci dobbiamo occupare, in un certo qual senso sperimentava per primo ciò che era stato di nuovo vissuto subito dopo o per lo meno solo da poco; sentiva il sorgere del contenuto apocalittico nel proprio Io. Perché era il corpo astrale che assumeva su di sé l’eco di cui ho parlato, laddove il Dio dava l’apocalittico come contraccambio alla parola. 

Chi ha redatto l’apocalisse di Giovanni, sentiva il suo Io pienamente cosciente, unito con il contenuto che ha trascritto nell’apocalisse stessa.

Lo stimolo, che s’ispirava da lungo tempo dall’ormai spenta offerta sacrificale di Efeso, giungeva per il sacerdote, il redattore dell’apocalisse che si sentiva unto da Cristo Gesù in persona in modo tale da sperimentarsi come in un celebrare continuo dell’antichissima sacra consacrazione. Sentiva come questo essere pienamente consapevole dell’Io con il senso della celebrazione, era un essere completamente pieno del contenuto dell’apocalisse . 

L’apocalisse di Giovanni è pronunciata con la stessa consapevolezza con cui l’uomo, di solito pronuncia solo la parola ʺIoʺ.




Quando viviamo tutto quello che il sentire e l’approfondire religioso dell’anima può dare, tutto ciò può agire come illuminazione energicamente voluta, come sforzo verso la comprensione del sovrasensibile, se ci facciamo stimolare dalla trattazione delle tre epoche misteriche passate, quando ciò che visse nella prima, nella seconda, nella terza epoca misterica può renderci ispiratore vivente per la quarta e quando lasciamo agire la forza dello spirito di Dio nell’anima, come oggi è di nuovo possibile, potremmo poi esperire che non c’è solo un’Apocalisse bensì che esistono tante Apocalissi quanti io umani dediti a Dio, a partire da singoli sacerdoti che parlano a Cristo, il quale deve venire ritrovato da questo movimento per il rinnovamento religioso.

L’apocalisse rimane una nella sua qualità, ma per il contenuto di ogni singola anima sacerdotale essa può diventare molteplice. Al contrario, ogni singola anima che esegue l’Atto di Consacrazione dell’uomo, può divenire sacerdote, per il fatto che compie la preparazione di identificare l’Io con il contenuto dell’apocalisse Noi come uomini, siamo degli Io, nel senso moderno della parola, diventiamo sacerdoti quando l’apocalisse non solo si trova nel Vangelo, non quando l’apocalisse sta nei nostri cuori come qualcosa di definitivamente scritto, bensì quando l’Io diviene cosciente del fatto che provoca in ogni momento della vita, generando da se stesso, una riproduzione dell’apocalisse .

Prendete quanto segue come immagine: qualcuno scrive il contenuto di un libro. Viene mandato in tipografia. Questa è un’immagine verosimilmente pedante, filistea, che però vi può servire. Il libro viene stampato, va nel mondo in tanti esemplari diversi l’uno dall’altro, ma che sono unici nel contenuto. Una cosa è quello a cui a voi si fa accenno proprio al principio dell’apocalisse, una cosa è ciò che viene manifestato a Giovanni dal Cristo stesso.

Perché ʺquesta è la rivelazione di Gesù Cristo, ricevuta dal suo servo Giovanniʺ Ap 1,1. Il contenuto è uno solo, ma viene riprodotto in più modi nella auto‑creazione di questo stesso contenuto dalla saggezza dei mondi sovrasensibili.

Questo è comprendere l’apocalisse di Giovanni. Ma ciò vuol dire anche nel più profondo significato della parola capire: il Cristo ci ha consacrato a sacerdoti. Voi avete sentito cosa significhi quando lo scrittore dell’apocalisse dice che il Cristo stesso lo ha consacrato a sacerdote. L’unzione a sacerdote riesce quando si sente, come in Giovanni è sorto il contenuto dell’apocalisse.

Quando si percepisce che questi uomini di oggi che vogliono diventare sacerdoti, lo divengono vivendo in se stessi l’Io dell’apocalisse generandolo da soli, l’Io diviene apocalittico; poi l’Io è sacerdotale.


sabato 10 dicembre 2022

Paracelso Mago Alchimista


Paracelsus 



Paracelso: il Mago Alchimista


Théophrast Bombast von Hohenheim, detto Paracelso (1493 – 1541), ereditò dal suo maestro Tritemio sia l’amore per il Divino che l’amore per la magia.

Johann von Heidenberg, detto Tritemio (1462 – 1516), all’età di 18 anni, mentre frequentava l’università di Treviri, desiderando di vedere la madre, in pieno inverno si mise in viaggio. Sorpreso da una tempesta, trovò riparo nel monastero benedettino di Sponheim e decise di farsi monaco. Tuttavia la conversione non riuscì a cancellare il suo vecchio amore per la kabbalah e la magia in generale.

Ma come è possibile, è lecito chiedersi, amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze, e nello stesso tempo coltivare la magia? Apparentemente le due cose sono inconciliabili, ma se la magia professata da Paracelso è come quella professata dai tre re magi del Nuovo Testamento, la cosa diventa possibile. In questo caso il mago è il sapiente, colui che riesce a conoscere molti misteri della Natura e quelle opere di Dio che all’occhio profano sfuggono.

Noi ci sentiamo di affermare che Paracelso è sia uomo di Dio che mago, ovverosia alchimista vero.

“Il fondamento su cui io costruisco e dal quale procedono i miei scritti, lo stabilisco su quattro colonne, cioè la filosofia, l’astronomia, l’alchimia e la Virtù” (Paracelso – Paragrano – a cura di Ferruccio Masini – Laterza ed. 1984, pag. 6 – 7). Dopo aver provato a immaginare l’impatto che queste parole possono avere avuto sul mondo accademico che fondava tutta la medicina di allora su Galeno e Avicenna, cerchiamo di capire che cosa egli intenda con queste “quattro colonne”.

Per Filosofia intende la conoscenza della natura fisica; per Astronomia intende la conoscenza del cielo, cioè la sfera mentale in cui vive l’uomo, la conoscenza delle stelle, vale a dire delle idee, e la conoscenza delle costellazioni; per Alchimia intende la conoscenza dei poteri divini dell’uomo e la comprensione della chimica della vita; infine, per Virtù intende la santità dell’uomo:

“Uno dei più necessari requisiti per un medico è la perfetta purezza e onestà di propositi. Egli dovrebbe essere libero da ogni ambizione, vanità, invidia, lussuria, pomposità e presunzione, perché questi vizi sono il prodotto dell’ignoranza e incompatibili con la luce della divina sapienza che dovrebbe illuminare la mente del vero medico” (Franz Hartmann – Il mondo magico di Paracelso – Mediterranee, pag. 178).

Come è facile intuire, per Paracelso il medico deve essere ordinato non da re, papi o cattedratici, ma direttamente da Dio, deve cioè essere nato medico. Ovviamente egli parla di se stesso, e possedendo la saggezza cui allude è perfettamente in grado di riconocere facilmente i vizi che caratterizzano la quasi totalità dei medici del suo tempo.

Ha dunque tutte le ragioni del mondo quando con discorsi e scritti veementi, offensivi, addirittura volgari, attacca il mondo accademico che lo calunnia, insulta, deride, perseguita. L’arte medica può essere fondata solo sulla verità: non può essere prostituita per nessun motivo. E certamente lui non la prostituì mai. Lo testimonia la sua morte (forse violenta) da povero e perseguitato.

Gran parte della prefazione al suo Paragrano il nostro alchimista, usando un linguaggio impetuoso e travolgente, la dedica alla sottolineatura dei difetti e della pochezza, della pomposità e della menzogna, della mercificazione e della astuzia, dei medicastri che “osavano” criticare la sua somma arte. “Non il cielo mi ha fatto medico: Dio è stato a farmi tale” (Paragrano, op. cit. pag. 16).

Ecco perché si comportava come un missionario più che come un medico dei suoi tempi. Compassione ed empatia erano le basi su cui poggiava il suo rapporto con l’ammalato, e contro la malattia operava come uno stratega militare, esaminado le “mappe” di terra e di cielo.

Persino il suo abbigliamento pareva studiato per sottolineare la inutile eleganza dei suoi nemici colleghi: pareva più un artigiano che un medico. “La verità non ha… altri nemici che i mentitori”, diceva, e visti i risultati, cioè il gran numero di guarigioni che riusciva ad ottenere con quei suoi strani metodi e medicamenti, poteva ben accusare di menzogna quei tronfi personaggi che non ripetevano altro che concetti di Avicenna.

Mentitori loro e mentitore pure il loro antico maestro, e per sottolinearlo, il 24 Giugno, festa di San Giovanni, un giorno a Basilea bruciò pubblicamente i libri di Avicenna: “Ho gettato la Summa dei libri nel fuoco di San Giovanni, affinché ogni sventura dileguasse nell’aria col fumo” (id. pag. 11). Ora c’è da considerare che Paracelso non è un mentitore perché afferma di non esserlo, ma perché, convinto come è che tale verità è mostrata tutta intera dalla Natura, lui, per grazia di Dio, tale verità riesce a “vederla”.

Quindi sa che non è nel giusto chi non segue la Natura e le sue leggi. E’ per questo che i mentitori sono pericolosi: essi difffondendo menzogne nascondono la verità e producono male. E qui ci verrebbe voglia di dire che purtroppo nulla è cambiato: oggi come allora i mentitori diffondono regolarmente le loro menzogne e sono osannati ed incensati, mentre le persone di buon senso che non possono condire la verità con le stesse spezie svianti dei divulgatori del falso (perché la verità è semplice) vengono derisi e sbeffeggiati.

Non stiamo a parlare di medici ma di pseudo filosofi o maestri. In ogni nostro saggio apriamo parentesi del genere per non lasciarci sfuggire l’occasione di denunciare la menzogna. Da cosa deduciamo che trattasi di bugia?

Dai frutti. Intere generazioni di giovani sono state accese facendo leva sul sentimento e come delle carrozze ferroviarie sono state poste su binari di assoluta irrazionalità spacciata per perfetta ed unica via. Hanno ipnotizzato con alienanti formulette vuote ma ritmate in modo ossessivo milioni di persone che sono oramai incapaci di attivare un qualunque senso critico.

Basta una canzonetta, un romanzetto, una chiacchierata in tv, un filmetto, un giornale quotidiano martellante la stessa idea, per dare il falso la a questi strumentini oramai scordati. La vita è stata svuotata di ogni e qualsiasi contenuto. I valori sono stati infangati. La religiosità ridicolizzata.

La piramide sociale e naturale capovolta (non siamo tutti uguali: ognuno ha il suo talento da spendere). Per dirla in breve, all’uomo è stata asportata la natura divina e lo si è potenziato negli istinti: di lui è rimasta solamente la bestia: l’uomo non esiste più.

Pochi esemplari di uomo vivono ormai in nascoste riserve lontane dai salotti tv, dalle editorie, dai pulpiti di ogni specie, dalle piazze, dai luoghi di raccolta dei branchi. Ed in tutto questo la cosa che fa più ridere è l’enfasi con la quale pressoché giornalmente viene denunciato il rischio di estinzione ora di questa ora di quella specie animale. Qui a rischio di estinzione è l’uomo, quello che ha natura divina, quello fatto ad immagine di Dio, e quello, perché no, che ha anche una natura animale.

Il divino è quasi scomparso, la bestia scomparirà presto con lui, perché, per dirla con Paracelso, tutto sta andando contro ogni legge naturale e ciò non presagisce nulla di buono. E poi, consentitecelo, inserire nei saggi parentesi di questo tenore ci lascia sfogare. Non ci sentiamo perfetti, anzi siamo pieni di difetti, ma il saperlo ci spinge a migliorarci. Riteniamo che anche Paracelso, con i suoi pesantissimi insulti e con le sue coloratissime offensive aggettivazioni scagliate contro i suoi denigratori e colleghi, si sia sfogato.

Non siamo molto d’accordo con Jung quando nel suo saggio Paracelso come medico (In Opere Boringheri – vol. 13°, pag. 130) dice: “La prima cosa da cui si resta colpiti alla lettura dei suoi scritti è il suo temperamento bilioso e litigioso”. Sì, quando attacca il mondo accademico assomiglia molto a Gesù che scaccia i mercanti dal tempio, ma non possiamo certo etichettare il Maestro dei maestri come un litigioso per tale comportamento.

Dal nostro punto di vista Paracelso era un uomo molto paziente (Jung sapeva benissimo, per aver affondato le mani in pasta alchemica, che la pazienza è prerogativa del sapiente), ma come ognuno di noi sa, la pazienza ha un limite. Questo strano e buffo medico itinerante veniva insultato quotidianamente sia da colleghi che da povericristi opportunamente manovrati, per cui ad un certo punto doveva pur dare sfogo alla comprensibile rabbia di cui era perfettamente consapevole, e ciò ha fatto scrivendo e bruciando testi pubblicamente.

D’altro lato ci rendiamo conto che Jung non poteva sviolinare per tutto il suo saggio a favore di Paracelso, perché se no sarebbe diventato un novello Paracelso a Zurigo (anche se per certi versi lo è quasi stato…). Lui, uno studioso della psiche, doveva pur dire qualcosa a proposito della personalità del nostro. E l’ha detta. Ma l’inizio del suo saggio ci fa capire bene come la pensava veramente a proposito dell’alchimista di Basilea: “…Come un vulcano in eruzione, ha devastato e distrutto, ma anche fertilizzato e vivificato.

E’ impossibile rendergli pienamente giustizia…Tutto assume in lui proporzioni esorbitanti, tanto che si potrebbe anche dire che in lui tutto è spinto all’eccesso. Lunghi e aridi deserti di chiacchiere insensate si alternano ad oasi di traboccante spiritualità, di un acume sconvolgente e di una ricchezza tale che non ci si riesce a liberare dall’incresciosa sensazione di non aver saputo cogliere l’essenza della sua opera” (op. cit. pag. 129).

Quell’ “incresciosa sensazione” è ovviamente tutta di Jung, che ha sicuramente divorato le opere di Paracelso nel ventennio dedicato allo studio dell’ Alchimia, ma che non ha potuto o saputo cogliere la verità che il suo conterraneo, da buon alchimista, ha solo indicato velatamente. E che sia stato vero alchimista, oltre che dalla sua attività di medico-“sciamano” è possibile rilevarlo dai suoi scritti alchemici. Leggere per credere.

Stefano Andreani, in una nota ad un’operetta di testi rari di Gino Testi che stanno dopo il Dizionario di alchimia e di chimica antiquaria – Paracelso dello stesso autore (ed. Mediterranee – pag. 273) afferma che “la sua qualità di alchimista…è ben dimostrata dai fatti”. Noi condividiamo tale affermazione e pensiamo che anche Carl Gustav Jung la pensasse allo stesso modo.

Se la vite dà l’uva, se un pero dà la pera, dice Paracelso, è perché la terra, madre di tutti gli esseri, ha “cotto” vite e pero. Lo stesso dicasi per l’alchimia: essa consiste in una cottura del soggetto che altri non è che l’alchimista stesso. Beh, noi crediamo che il genio di Paracelso sia scaturito da una cottura costante durata tutta la vita, che a volte ha richiesto pure l’impiego indotto di “corrosivi” (ci riferiamo ai patimenti che si è procurato col suo stravagante comportamento, col suo paradossale pensiero, coi suoi acidi scritti). L’ oro lo ha prodotto ma lo ha ben nascosto nelle sue opere.

Jung sottolinea un importante aspetto della terapia di Paracelso, quello psicoterapeutico. Esso concerne la “discussione della malattia”. Il medico quindi deve procedere in modo intuitivo, compassionevole e amorevole: “Medico e medicina null’altro sono che grazia concessa da Dio ai bisognosi. L’arte si ottiene per opera dell’amore.

Così il medico dev’ essere dotato di compassione e amore…” (citato da Jung in op. cit. pag. 145). Jung farà sua questa regola: la prassi della Psicologia Analitica deve poggiare su una profonda empatia e l’analista non deve nascondersi dietro le spalle del paziente (come nella scuola freudiana), ma stargli davanti e guardarlo negli occhi, mettersi in gioco.

Che il medico e l’alchimista devono coincidere lo testimonia questo passo del Paragrano citato dallo psichiatra svizzero: “Devi riporre in Dio una fede onesta, integra, robusta, verace, con tutto l’animo tuo, il tuo cuore, la tua mente e i tuoi pensieri, con tutto l’amore e tutta la fiducia. Poiché con una tale fede e un tale amore, Dio non ti farà mancare la sua verità e ti renderà manifeste le Sue opere veridiche, certe e consolatrici..

Ma se tu non hai una tale fede in Dio, l’aiuto d’Iddio ti verrà meno nelle opere tue e ne sentirai la mancanza. La conseguenza di ciò sarà che il popolo non riporrà fede alcuna in te” (Op. cit. pag. 151 -Paracelso come fenomeno spirituale). La prima parte di questo brano ripercorre passo passo il Deuteronomio cap. 6 versetti 4 e seguenti: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze…”.

Il vero amore richiede una presenza totale: tutto l’essere deve essere impegnato: corpo, cuore e mente. E quando nell’Antico Testamento si dice che Dio è geloso, bisogna comprendere che tale gelosia serve solo a sottolineare il fatto che Adonai (il Signore) non può rispondere a chi non Gli si rivolge in maniera totale. Paracelso nei suoi scritti insiste molto sulla fede e spiega spesso come attraverso di essa non è più l’uomo ad operare ma il Divino.

Ecco perché tale goffo medicozzo (ma goffo e medicozzo solo per i suoi contemporanei) riusciva a guarire anche malattie gravi: operava in assenza di ego, in modo totalmente intuitivo. A nostro parere Jung ha attinto molto da Paracelso, e per certi versi è riuscito a farsi amare molto dai suoi pazienti così come accadeva al nostro medico-alchimista. Ma tornando al passo citato ci viene in mente un’altra cosa da sottolineare.

Quando Freud con la sua Psicanalisi tentò di edificare una sua chiesa con una parodia di confessione (l’analisi), non tenne conto di un fatto importante che tante conseguenze doveva produrre sia sui pazienti che sugli analisti della sua scuola (che noi non disprezziamo, ma che riteniamo parecchio imperfetta).

L’ateo Freud e gli atei suoi discepoli, mancando di quella fede cui allude Paracelso operano attraverso l’ego, non sono un tramite, non allargano la loro coscienza fino all’impersonale Sé. Per cui come spugne assorbono (nonostante si nascondano dietro il divano) la “malattia” del paziente. La qual cosa non potrà mai accadere ad un prete in confessione che, stracarico di fede, rappresenta il Sé, Dio.

Non abbiamo mai visto un prete sfiduciato dai suoi parocchiani, né un prete zuppo di negatività assorbita in confessione: nel confessionale l’amore divino, attraverso l’amore di Cristo e l’amore del prete riqualifica le energie negative del male e rigenera sia il confessante che il confessato. Ecco perché, con tutto il rispetto dovuto al genio freudiano, la sua “chiesa” non è vera, perché atea.

Paracelso certo non avrebbe trattato Freud come ebbe a trattare i suoi colleghi, ma qualche tirata d’orecchie gliel’avrebbe data. Meglio Jung. Ma al meglio non c’è fine…

Nella sua bellissima antologia paracelsiana commentata, Franz Hartmann ci spiega come “la medicina di Paracelso tratta non solo del corpo esterno dell’uomo, che appartiene al mondo degli effetti, ma anche del mondo interiore e del mondo delle cause; senza mai perdere di vista l’universale presenza della causa divina di tutte le cose. E’ dunque una scienza sacra, e la pratica della medicina è una missione sacra che non può essere capita da coloro che sono senza Dio…Un medico che non ha fede, né, quindi, alcun potere spirituale, non può essere altro che un ignorante e un ciarlatano” (Il mondo magico di Paracelso – mediterranee, pag. 168-169).

Chissà quanti dei nostri moderni scienziati si sarebbero beccati pesanti insulti da parte di Paracelso, soprattutto coloro che considerano l’universo un ammasso di morta materia da cui, attraverso chissà quali processi, è nata la vita. A chi, come costoro, dicesse che la forma può dar vita alla materia, egli, dopo un annichilente e meritato insulto pesante, risponderebbe che non è la forma che crea la vita, ma la vita che crea la forma. E Tale Vita è una e onnipervadente.

Nel De Veribus Membrorum,citato da Hartmann (pag. 209 op. cit.), Paracelso sembra dire a tutto vantaggio di tali cialtroni: “Il potere della vista non proviene dall’occhio, il potere dell’udito non proviene dalle orecchie, né il potere di sentire dai nervi; ma è lo spirito dell’uomo che vede attraverso gli occhi, che ode con le orecchie e sente per mezzo dei nervi. La sapienza, la ragione e il pensiero non sono contenuti nel cervello, ma appartengono all’invisibile e universale spirito che sente attraverso il cuore e pensa per mezzo del cervello”. (il sottolineato è nostro).

Jung nel suo saggio Sincronicità come principio di nessi acausali (in opere – vol. 8 – pagg. 526, 527 e 528) riporta un caso tratto dalla sua personale esperienza di medico. Una sua cliente, nel corso del suo primo parto, pur trovandosi in una condizione di grave collasso e quindi di evidente anemia cerebrale, vide “tutta la situazione dall’alto, come se i suoi occhi si fossero trovati sul soffitto della stanza”: l’infermiera che non sapeva cosa fare, il medico in preda ad ansia per l’imprevisto, ecc. No, il potere della vista non proviene dall’occhio…

Noi abbiamo molta fiducia nei veri uomini di scienza. Quelli, per intenderci, privi di boria e ricchi di quella umiltà che costituisce virtù indispensabile per il ricercatore della verità. Come si può essere così spacconi da credere d’aver capito tutto, quando ancora si conosce appena l’epidermide delle cose? Come ci si può considerare arrivati quando un universo pieno di misteri da svelare ci sfida continuamente? 

COME PUO’ IL PICCOLO COMPRENDERE IL GRANDE ?

Avete da crescere – direbbe a costoro Paracelso- siete troppo piccoli per queste cose! E poi aggiungerebbe: “La Vita in se stessa non può morire né essere annichilita, perché non è nata da una forma. Essa è un potere eterno che è sempre esistito e sempre esisterà…La vita è una funzione di Dio…” (id. pag. 109). Grande, grande Paracelso!

L’uomo dunque è il principe dell’universo, perché fatto ad immagine di Dio. Ha una natura animale, terrestre, ed una natura spirituale, celeste. Chi paradossalmente afferma “Dio è morto” ha commesso una sorta di suicidio scartando la possibilità di essere in-Dio e scegliendo la sola parte animale di sé, la forma, quella che altro non è che un mucchietto di fango.

Questi cialtroni sono fin da ora anime morte perché si sono identificati con la loro parte animale: il paradiso è perduto, ed il Satana di Milton rende perfettamente l’idea. Per libera scelta l’uomo può scegliere la vita o la morte, e la maggior parte dell’umanità, trascinata da quelle fumose e cadenti locomotive che sono i falsi maestri, forma un treno lunghissimo di carrozze che corre verso il nulla, verso la morte.

Ma lasciamo che sia Paracelso a dirlo: ” Vi è così nell’uomo qualche cosa di incorruttibile e di eterno e qualche cosa di corruttibile e temporale, ed egli può valersi della sua libera volontà per identificarsi con l’una o con l’altra. Se si identifica con la natura, dovrà essere trasformato da essa. Se si identifica con lo spirito divino, rimarrà quello che é. Non vi è da temere alcuna morte che non sia quella che risulta dall’essere inconscio della presenza di Dio” (id. pag. 113).

Cosa predichi il moderno ateismo nichilista è facile intuire. Ma è mai possibile che nessuno di questi nichilisti si sia ancora accorto di essere già morto? Che pena!

Paracelso dedica molto spazio nei suoi scritti a Fede, Volontà, Immaginazione, Desiderio, Preghiera, Pensiero, Cuore, ecc.Questo breve saggio non ci consente di affrontare tali tematiche viste dal punto di vista magico. Chi volesse approfondire può consultare il già citato libro di Franz Hartmann da pag. 137 a pag. 165. Riportiamo solo qualche aforisma paracelsiano su questi temi:

“tutte le immaginazioni dell’uomo provengono dal cuore”; “Dio guarda il cuore e non le cerimonie”; “con la fede e l’immaginazione possiamo compiere tutto ciò che desideriamo”; la volontà crea spiriti (forze) che non hanno niente a che vedere con la ragione, ma obbediscono ciecamente”; “il vero potere magico consiste nella vera fede, ma la vera fede è fondata sulla conoscenza spirituale”; “regoliamo la nostra immaginazione senza permetterle di correre sfrenatamente”; “l’uomo è ciò che pensa.

Se pensa fuoco, è fuoco; se pensa guerra provocherà la guerra; tutto dipende dal fatto che l’intera immaginazione diventa un intero sole, ossia dal fatto che immagina interamente quello che vuole”.

Ovviamente tutto ciò va usato a fin di bene (non dimentichiamo che Paracelso è un guaritore, un medico, un filosofo, un credente). Chi opera per il male attrarrà su di sé tutto il male possibile.

La volontà dell’uomo oggi è purtroppo manovrata da persuasori occulti e non. Di cattivi maestri son pieni gli schermi. Quello che tale genia pensa, desidera, immagina è bombardato dalle loro parole che giornalmente siamo costretti a sorbirci da tv, cinema, giornali, piazze. Ed il nulla (per dirla con M. Ende) avanza. Gli uomini grigi, caro Ende, son diventati neri come il carbone, ed oramai riescono a dettare i tempi della danza a milioni di ingenui che danzano come dei tarantolati. “Io voglio la mia volontà” diceva Rilke.

Vogliate la vostra volontà, amici. Ragionate con la vostra testa, e soprattutto accendete il radar del vostro cuore. La tarantola non esiste e quella danza lì è ossessiva e ipnotica. Ballate al suono della vostra musica. Uscite per un attimo fuori dal branco, per riappropriarvi della vostra parte di Cielo, di Spirito, perché sappiatelo: voi non siete solo animali: siete anche angeli. Parola di Paracelso. Grazie, Nat.

Bibliografia e testi consigliati

– Paragrano – ed. Laterza;
– Franz Hartmann – Il mondo magico di Paracelso – Mediterranee;
– Gino Testi – Dizionario di alchimia e di chimica antiquaria – Paracelso – Mediterranee;
– Paracelso – Il tesoro dei tesori – Brancato;
– Jung – opere: vol. 8 e 13 – Boringheri;
– Paracelsius – Antologia di brani scelti – J. Jacobi – Zurigo, 1942;
– Paracelso – I nove libri sulla natura delle cose – Phoenix;
– Paracelso – Scritti alchemici e magici – Phoenix;
– Paracelso – trattato delle tre prime essenze – Phoenix;
– ” – De Homunculis – Phoenix;
– ” – Il fondamento della sapienza – Il Leone verde;
– Ascoltando Paracelso – B.I.S.;
– Ventra/De Salvo – Alchimia spagirica Paracelso – Brenner;
– LA SACRA BIBBIA – edizione ufficiale della C.E.I.

Le opere elencate dopo Jung (ad eccezione ovviamente della Bibbia) ripetono più o meno quanto contenuto nei primi quattro volumi citati.
 

sabato 3 dicembre 2022

A Murmuration of Thought


Mind the Gap - A Murmuration of Thought 


Abstract

Quali sono i materiali del pensiero? Nella ricerca di una base fisica troviamo reti neuronali, picchi elettrochimici che attraversano le reti e un flusso modellato e coerente di tali picchi nel tempo. Da questa attività emerge la coscienza. Modelli semplici possono illustrare i processi e fornirci metafore per questa emergenza.


Attraverso le metafore possiamo comprendere (e spiegare) la potenza di questi processi. Un modello poetico, un grande stormo di storni chiamato anche mormorio, è parallelo alla struttura di una semplice rete neurale e potrebbe indicare aspetti dell'attività mentale e l'emergere di qualcosa che trascende i semplici comportamenti dei singoli agenti in un grande sistema ben connesso. gruppo.

Uno stormo di uccelli è stato tradizionalmente modellato in cui ciascun uccello (agente) segue tre semplici regole in volo: separazione, allineamento e coesione. Gli uccelli come nodi di una rete hanno connessioni (bordi) con i compagni di stormo locali.

I singoli uccelli si muovono nello spazio informati dai loro vicini attraverso l'attrazione (allineamento e coesione) e l'inibizione (separazione). Gli storni possono anche vedere i membri distanti dello stormo e quindi vengono informati anche dalle azioni a distanza.

Ciò suggerisce una struttura di rete di un piccolo mondo. Con un piccolo cambiamento nelle regole di volo, aggiungendo una piccola quantità di informazioni distanti, il modello standard di stormo si trasforma rapidamente in un mormorio e migliaia di singoli uccelli si trasformano in un'unica entità che sembra muoversi con un unico intento attraverso il cielo crepuscolare.

Questa struttura e questo processo sono anche ciò che ci si aspetterebbe da migliaia di picchi neuronali che si muovono attraverso la fitta rete di piccoli mondi nel nostro cervello. Per lo meno possiamo vedere la bellezza dell’emergere nel modello e chiederci se l’atto stesso di immaginare non sia esso stesso il flusso e riflusso di migliaia di azioni semplici nel processo per diventare una cosa: un pensiero umano.

A Murmuration of Thought


Abstract:

What are the materials of thought? In a search for a physical basis we find neuronal networks, electro-chemical spikes traversing the networks, and a patterned and coherent flow of those spikes in time. From this activity consciousness emerges. Simple models can illustrate the processes and provide us metaphors for this emergence. 

Through metaphors we can understand (and explain) the power of these processes. One poetic model, a large flock of starlings also called a murmuration, parallels the structure of a simple neuronal network, and might point to aspects of mental activity and the emergence of something that transcends the simple behaviors of individual agents in a large well-connected group. 

A flock of birds has been traditionally modeled with each bird (agent) following three simple rules in flight: separation, alignment and cohesion. Birds as nodes in a network have connections (edges) to local flockmates. Individual birds move through space informed by their neighbors through attraction (alignment and cohesion) and inhibition (separation). Starlings can also see distant flock members and so are also informed by action at a distance. 

This suggests a structure of a small-world network. With a small change in flight rules, adding a small amount of distant information, the standard flocking model rapidly coheres into a murmuration and thousands of individual birds transform into one entity seeming to move with single intent though the twilight sky. This structure and this process are also what one would expect as thousands of neuronal spikes move through the dense, small-world network in our brains. 

At the very least we can see the beauty of emergence in the model, and wonder if the very act of imagining is itself the ebb and flow of thousands of simple actions in the process of becoming one thing—a human thought.