venerdì 24 novembre 2023

Opus Magicum: Il Fuoco

 

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Opus Magicum: Il Fuoco

Tratto da Introduzione Alla Magia Volume primo di LUCE (Giulio Parise)

L’elemento fuoco è considerato come il più importante, quantunque non il solo, nell’ordine del rituale magico. Molti significati e diversi sono a lui attribuiti, secondo le particolari funzioni per le quali viene assunto, e tra gli altri, innanzitutto, quello di principio vivificatore e quello di elemento purificatore dei quali ci occuperemo.

È opportuno accennare, tra i moltissimi simboli che al fuoco si riferiscono, quello analogico dell’ignis centrum terrae[1], il fuoco centrale, comune ad ogni tradizione. Nell’uomo, il cuore è al centro, rosso di caldo sangue che di là parte fino a penetrare della onda di vita tutto l’organismo: ed è raffigurato fiammeggiante e luminoso.

Fiamme e luce d’amore, è detto; ma per comprendere ciò più esattamente, si ricordi che il cuore è indicato nell’antico Egitto come l’organo dell’intelligenza, facoltà esclusivamente spirituale, e che dello spirito è la più perfetta ed immediata manifestazione, inviolabile nel suo carattere peculiare di assoluta spontaneità armoniosa.

Nei geroglifici il cuore è indicato da un vaso, h’tj, con le due anse, od orecchie. Tale esattezza di significati, a poco a poco sovvertita negli ultimi venti secoli, fino ad attribuire al cervello non solo la funzione organica del pensare ordinario, ma anche quella dell’«intelligere», è stata tuttavia precisamente detta nell’intelletto d’amore dantesco.

Si noti ancora come nel linguaggio moderno vi sono forme che a ciò si riferiscono, circa una particolare funzione dell’intelligenza, nel termine: ricordare, e nelle frasi: apprendre par coeur, to learn by heart, ecc.[2], e si noti altresì la differenza tra: recordari e meminisse, tra ricordare e rammentare. La scienza del linguaggio potrebbe dare un contributo notevole allo psicologo moderno, illuminando alcuni punti sinora oscuri, suggerendo all’attento osservatore lo smarrito significato di molti simboli.

Perciò è necessario che, nel rito, tutte le funzioni dello spirito, nei suoi rapporti col corpo materiale, siano ricondotte allo stato di primitiva e perfetta armonia e coscienza; e non è solo necessario rendersi persuasi di tale o talaltra verità, ma si deve operare in modo da porre lo spirito nel pieno controllo di ciò che opera.

Il rito cui qui si accenna si innesta sulla pratica del respiro, che viene eseguita sulla formula 2n (inspirazione), n (ritenzione), 2n (espirazione), n (ritenzione), in una prima fase; 2n, 4n, 2n, n in una fase ulteriore. 

Si avverte però che può anche essere compiuto sulla prima di esse. Di ciò sarà detto particolarmente altrove; per ora basti conoscere il significato, assunto nella Concentrazione e nel Silenzio, dello spirito che, in quanto essenza animatrice e sostenitrice dell’uomo, ha per simbolo il respiro, indispensabile alla vita corporea, così come il fuoco è indispensabile a qualsiasi forma di vita fisica – donde il «respiro di fuoco» nei vari simbolismi. 

Questo si accenna per dare una guida nelle esperienze che presentano talora vari aspetti simultanei.

Supini, dopo avere realizzata la perfetta ritmicità della respirazione nelle fasi su accennate, sì che tale funzione organica permanga egualmente con assoluta spontaneità, senza ormai più richiedere attenzione alcuna, si discenda alle radici dell’essere con la «concentrazione» ed il «silenzio». Raggiunta la fase suprema, liberato lo spirito, questo si determini, sia realizzato come una piccola fiamma ardente nel cuore. 

Il corpo lo si sperimenti come pervaso da un’onda di tepore sottile che fluisce per le vene, per i nervi. La fiamma arda: «Io sono». Il cuore sembrerà bruciare e dissolversi nell’elemento del Fuoco magico.

In questo, la difficoltà maggiore che vi può essere (se difficoltà è il termine più adeguato in relazione ad un atto tale dello spirito) si trova nel discendere della coscienza, dello spirito o dell’Io che dir si voglia, nel cuore. 

Si è infatti abituati a sentire, a vivere sé stessi nel cervello: taluno può anche sentirsi in un organo di senso, quando la percezione è di tale violenza ed intensità da attrarre verso un determinato punto del corpo ogni attenzione, cosicché sembra, per un attimo, di essere sprofondati là dove è suscitata la sensazione di dolore o di piacere. Analogo è il processo di discesa nel cuore, salvo che non è percepita alcuna delle ora accennate sensazioni.[3]

Si ricordi (cfr. p. 32) «il senso di infinità e di incondizionata libertà dello spirito» che è l’ultimo stato del silenzio rituale. Non vi dovrebbe, quindi, essere difficoltà alcuna ad operare perfettamente, determinando lo spirito ad accentrarsi, coagularsi ovunque voglia. Tuttavia l’abitudine della coscienza vincolata ad uno strumento quale il cervello, è tale che lo spirito viene come automaticamente attratto là dove egli si attribuisce sede normale.

È quindi necessario, in questo caso, di realizzarsi e sentirsi come una massa di lieve consistenza che, dal cervello, scenda attraverso i centri della laringe e della faringe, giù, fino al cuore, lentamente, seguendo una linea ideale e non corporea, dolcemente e senza alcuno sforzo. 

La spontaneità stessa si attua nell’azione magica e nella sua forma più perfetta e completa. Silenzio tepido e vagamente luminoso – il corpo, all’atto del determinarsi dello spirito, acquista una consistenza bituminosa, i cui limiti sono indeterminabili nello spazio – lo spirito consiste, più denso e luminoso, più caldo.

Malgrado che manchi la percezione di spazio corporeo, ha coscienza del suo localizzarsi in esso – un’onda di calda luce fluttua – il corpo diviene vieppiù denso mentre lo spirito si dirige verso il cuore – atto di coscienza: «Sono nel cuore, lo sento, lo vivo» – di esso si è ora coscienti come di una nuova meravigliosa immensità, di cui pure ben pochi hanno coscienza, non più ristretta nell’abituale limite fisico, estendente la sua massa ignea fino ai confini della tenebra. 

Ed ora un chiarimento, che deve essere inteso partendo dal profondo: La vita dell’uomo ordinariamente è tale che la sua azione non si dà direttamente i propri oggetti, ma invece li riceve pel tramite dei sensi fisici, che glieli impongono – questi e non altri. Così, in realtà, l’uomo viene a dipendere da tutto ciò che gli è esterno ed estraneo, da tutto ciò che non è sé stesso.

Né il complesso funzionamento dei riflessi nervosi è sufficiente ad affermare una sua vera libertà. Da tale stato di fatto procede il concetto fondamentale di impurità, che, secondo i rituali classici dei vari sistemi di iniziazione, deve essere risolta nella purezza originaria dall’ardore della fiamma segreta, prima che il neofita si addentri nella conoscenza e nell’uso del magico potere. 

Il fuoco dello spirito è quindi diretto inizialmente alla catarsi di quegli elementi oscuri che fino allora hanno dominato incontrastati, a bruciare nel supremo atto di una perfetta «conoscenza» ciò che è «ignoranza», a penetrare nelle viscere della «Terra» e a purificare i «metalli» dalle scorie; «Oro», che a mezzo dello «Zolfo» eleva alla sua dignità gli inferiori, Sperma che unito al Mestruo della Meretrice genera il Divino Fanciullo[4].

Ritualmente: 
Fissato lo spirito nel cuore, che appare quale massa ignea, come si è detto, affiorano alla coscienza, di là dai confini della tenebra, onde e bagliori luminosi, simboli e mezzi della informe vita passiva. – Nel cuore lo spirito crei una fiammella, mutui la sua essenza nellanatura di quella. – La fiamma arda, ed arda da sé stessa, senza altro alimento che non sia il suo meraviglioso potere di compiersi – luce splendente nel rosso cupo del cuore. Senza tempo.
Poi la fiamma-spirito-coscienza aumenti sè stessa, a poco a poco, si faccia più grande, maggiore nello splendore e nell’ardore, più forte, più tenace, più viva e vivida, più dura dell’adamantina durezza… 
Sempre, sempre più. 

Ed oltre i limiti del cuore arda e consumi, si espanda fino a pervadere l’intero essere corporeo e dissolverlo in sé.

La purificazione degli elementi viene così a compiersi e lo spirito ad acquistare gradatamente l’immediato controllo, la percezione cosciente di ciascun organo, di ciascuna minima parte del corpo fisico. 

Dopo avere raggiunto ed avere fissato l’ultimo stato accennato, si proceda inversamente per un ritorno alla normale coscienza, seguendo lo spontaneo succedersi delle fasi, analoghe alle precedenti, fino alla forma di una piccola fiamma nel cuore. Allora, bruscamente, si interrompa il rito, così permanendo.

Dopo alcun tempo sarà facile portarsi rapidamente nel cuore e suscitarvi la fiamma, che, infine, permarrà, come un atto interiore, in tutto il corso della giornata; come anche sarà facile, partendo dal cuore, penetrare qualsiasi parte del corpo e viverla nelle sue complesse funzioni. 

Così la coscienza, ristabilita definitivamente nella sua sede naturale, avrà modo di sperimentare stati diversi dagli abituali d’un tempo e di operare conseguentemente, realizzando quanto è stato espresso nei simboli della inestinguibile fiamma.

È opportuno che il rito esposto sia eseguito nel mezzo della giornata, quando il sole è al vertice.


[1] Nel simbolismo la «terra» – come anche la «pietra» – rappresenta il corpo umano, con speciale relazione al suo esser la Materia dell’Opera: «Su questa pietra costruirò il mio tempio».
[2] Dante in vari luoghi ha chiaramente indicato quanto si è detto, e particolarmente nella Vita Nuova, § 2: «In quel punto dico veracemente che lo spirito della vita, lo quale dimora nella segretissima camera del cuore etc.». Tra i Latini Plauto, ad es. disse: «Mihi sunt tria corda» per indicare che egli conosceva tre lingue: l’Osco, il Latino e il Greco.
[3] A tale riguardo, potrà esser utile riferire queste istruzioni contenute in un antico codice del convento di Monte Athos, dovuto all’abate Xerocarca: «Mettiti a sedere solo, in un angolo. Sta attento a quello che ti dico. Chiudi la porta ed eleva il tuo spirito al di sopra dì ogni cosa vana e temporale. Quindi abbassa il mento sul petto e con tutte le forze dell’anima apri l’occhio percipiente, che è nel mezzo del tuo cuore. Frena anche le uscite dell’aria, tanto da non respirare troppo facilmente. Sforzati di trovare il sito preciso del cuore, dove sono destinate ad abitare tutte le forze dell’anima. Da principio, incontrerai oscurità e resistenza di masse impenetrabili; ma se perseveri e continui questo lavoro, di giorno e di notte, finirai per provare una gioia inesprimibile; poiché, appena ha trovato il sito del cuore, lo spirito vede ciò che prima non è mai stato in grado di conoscere. Egli vede allora l’aria, che sta tra lui e il cuore, splendere chiara e percettibile d’una luce miracolosa». [N. d. U.]
[4] La «Meretrice» in vari testi alchemici e gnostici simboleggia il principio umido, appunto nei suoi caratteri di brama e, ad un tempo, di passività, di attitudine labile a ricevere indifferentemente ogni forma. Assunto ed agito dal principio igneo iniziatico, esso si trasforma e si fissa, dando luogo alla natura dei rigenerati. Vi corrisponde, allora, il simbolo della «Vergine» che ha sotto il piede il segno lunare e serpentino, espressivo della sua originaria natura, e che fra le braccia reca il fanciullo divino, il «Figlio dell’Arte». [N. d. U.]

venerdì 17 novembre 2023

Venere e lo Sguardo

 

La sindrome di Alice



“Lo sguardo è una relazione specificamente esistenziale tra due esseri. Non appartiene alla coscienza, ma alla coesistenza; ed il massimo valore è lo sguardo dello sguardo, questo incontro che ha il senso di una interpenetrazione, di una fusione di persone nel piu’ profondo del loro essere” (Henry Ey, 1952, L’evolution Psichiatrique)

“Se la bellezza è intrinseca ed essenziale all’anima, allora la bellezza appare ovunque appaia l’anima. La rivelazione dell’essenza dell’anima, il vero manifestarsi di Afrodite nella psiche, il suo sorriso, nella lingua dei mortali è chiamato “bellezza”. 

Tutte le cose, in quanto mostrano la propria natura innata, presentano l’aureità di Afrodite; esse risplendono, e sono estetiche per questo. La forma visibile è un’esibizione di anima. L’essere di una cosa è rivelato nella manifestazione del suo Bild, l’immagine. 

Allora la bellezza non è un attributo, qualcosa di bello, come un bel velo drappeggiato attorno a una virtù: l’aspetto estetico dell’apparenza. Se con il buono, il vero e l’uno non ci fosse bellezza, non potremmo mai sentirli, né conoscerli.

La Bellezza è una necessità epistemologica; è il modo in cui gli Dei toccano i nostri sensi, raggiungono il cuore e ci attirano nella vita.

La Bellezza è anche una necessità ontologica, che fonda le particolarità sensibili del mondo.
Senza Afrodite il mondo dei particolari diventa un’atomizzazione di particelle; la varietà di dettagli della vita viene chiamata caos, molteplicità, materia amorfa, dati statistici. 

Tale è il mondo dei sensi senza Afrodite; un mondo in cui il senso dev’essere dedotto dall’apparenza, attraverso significati filosofici astratti – il che distorce la filosofia stessa separandola dalla sua base vera.

Se la filosofia nasce nel philos – è legata ad Afrodite anche se in un altro modo; perché il significato originale di Sophia è l’abilità dell’artigiano, del carpentiere, del navigante, dello scultore. Sophia si origina e si connette alle mani estetiche di Dedalo e di Efesto, legato innegabilmente ad Afrodite e intrinseco alla sua natura.

Con Afrodite a ispirare la nostra filosofia, ogni evento ha il proprio sorriso sul volto e appare in una sua maniera, una sua foggia, un suo stile particolari. Afrodite dà uno sfondo archetipico alla filosofia della “singolarità”, e consente al cuore di trovare l’ “intimità” con ogni evento particolare in un cosmo pluralistico.

Ora, l’organo che percepisce questi volti è il cuore. Il pensiero del cuore è fisiognomico. Per percepire deve immaginare, vedere le fattezze, le forme, i volti – angeli, dèmoni, creature di ogni sorta in cose di ogni genere. Per questo il pensiero del cuore personifica, anima, vivifica il mondo.

Questo legame tra il cuore e gli organi di senso non è semplice sensazionismo meccanico: è un legame estetico. E infatti, in greco, l’attività di percepire o di sentire è aisthesis, la cui radice significa “assumere” e “inspirare” – un rimaner senza fiato, la risposta estetica primaria.” 

(James Hillmann, dal sito l’Arte di Afrodite)