sabato 26 novembre 2022

Catarsi e Rinascita


Cabinet de reflexion - Catarsi 


La Catarsi Filosofica 


Senza un’attenta e accurata catarsi filosofica il discepolo non può e non deve pensare di avvicinarsi all’estasi filosofica, essendo questa una pratica la cui esecuzione richiede il totale scioglimento dell’anima dai lacci corporali. Leggiamo ciò che scrive Porfirio nella Sentenza n. 32:

“Da parte nostra dunque si deve far attenzione soprattutto alle virtù catartiche, considerando che è possibile raggiungerle in questa vita e che è questa la via alle virtù superiori. Perciò si deve considerare fino a dove e quanto si può estendere la catarsi: essa è infatti un allontanamento dal corpo e dal movimento passionale dell’irrazionale. Bisogna quindi dire come e fino a dove ciò si realizza. Per prima cosa, base e fondamento della catarsi è sapere di essere un’anima legata a qualcosa di estraneo e di altra natura. 

Secondariamente, partendo da questo convincimento, bisogna raccogliersi in sé (allontanandosi) dal corpo e dai luoghi, disponendosi in uno stato del tutto impassibile nei suoi confronti. Infatti chi agisce spesso secondo la sensazione, pur facendolo senza forte inclinazione e senza il godimento del piacere, è tuttavia distratto dal corpo, essendo ad esso legato dalla sensazione, poiché prova piaceri o dolori a secondo dei sensibili con immediatezza e partecipazione emozionale; soprattutto da questa disposizione è opportuno purificarlo. 

Questo si può fare se si ammettono solo i piaceri necessari e le sensazioni a titolo di medicine o di alleviamento delle pene, in modo che non siano di intralcio. Bisogna eliminare i dolori: e se non è possibile, è necessario sopportarli, magari alleviandoli, senza rimanerne coinvolti. E necessario eliminare per quanto è possibile, magari del tutto, l’animo irascibile. 

In caso contrario, non si confonderà certo la libera scelta, ma l’impulso istintivo sarà di altra natura e, questo stesso impulso, debole e breve; la paura invece deve essere assolutamente soppressa; non si dovrà infatti aver paura di nulla – anche qui ci potrà essere un impulso iniziale -, si potrà tuttavia usare insieme l’ira e la paura come ammonimenti. Si dovrà estirpare alla radice la concupiscenza di ciò che è impuro. 

Per quel che riguarda il mangiare e il bere, ci si atterrà a ciò che è necessario, per quel che riguarda i piaceri d’amore, a ciò che è naturale, senza impulsi istintivi: al limite, nel sonno, ci sarà una fantasia passeggera. 

In pratica, l’anima razionale dell’uomo purificato dovrà essere pura in sé da ogni passione. Dovrà volere che quella parte che è agitata dalle passioni del corpo, si muova senza partecipazione e coinvolgimento emotivi, in modo tale che l’eccitazione si attenui subito in prossimità dell’elemento razionale. 

Se la catarsi si compie, non ci sarà più allora lotta interiore, ma basterà la presenza della ragione a cui sarà sottomessa la parte inferiore: di conseguenza, la stessa parte inferiore non sopporterà di essere del tutto agitata, e deplorerà la sua stessa debolezza, poiché non è rimasta impassibile alla presenza del suo padrone. 

Comunque si tratta ancora solo di passioni moderate che tendono all’impassibilità; solo quando sarà completamente purificato dalle passioni, subentrerà l’impassibilità; la passione infatti prende corpo quando la ragione glielo rende facile a causa della forte inclinazione”.



Ebbene, in che modo ed eseguendo quali riti il novizio della Scuola Ermetica può aspirare ad una catarsi completa, ossia a quella purificazione dell’anima che gli permetta un graduale approccio al mondo divino? Per meglio dire a quella purificazione che consiste nell’isolare l’anima affinché non si unisca ad altro e non guardi ad altro e non abbia più idee che si riferiscano ad altre realtà, qualunque sia la forma delle idee o delle passioni, né si volga ad immagini interiori, né con esse si procuri delle passioni? 

Il rito di purificazione che il Novizio riceve al momento della sua iscrizione nella Scuola è il Rito Lunare. Tuttavia nella suddivisione quaternaria dell’uomo noi apprendiamo, prima di ogni altra cosa, dell’esistenza del Corpo Saturniano che è la parte corporea e sensitiva del nostro essere uomo. Ci domandiamo: il nostro corpo saturniano viene o no sottoposto a un trattamento rituale di purificazione?
 
La risposta ce la dà Porfirio. Egli scrive:

“Perciò si deve considerare fino a dove e quanto si può estendere la catarsi: essa è infatti un allontanamento dal corpo e dal movimento passionale dell’irrazionale.” Con questa parole si parte da un punto fermo: la catarsi porta a una separazione dal corpo”.

Vedremo fra poco da chi, come e in che misura il corpo deve propiziare questa separazione affinchè la catarsi si compia. Ma perché parliamo di separazione? La risposta a questa domanda è nelle prime parole di Porfirio: è questa la via alle virtù superiori. Ma per poter andare avanti desideriamo sapere quali sono queste “virtù superiori” e per quale motivo dobbiamo sottoporci a un’impresa così complessa per raggiungerle. Porfirio risponde così: perché la nostra “anima è legata a qualcosa di estraneo e di altra natura”. 

Una volta stabilito il punto di partenza scopriamo subito dopo che il “qualcosa di estraneo” è il nostro corpo ed è questo il motivo per cui i Filosofi e i Maestri non si sono preoccupati di trattarlo ritualmente. Hanno previsto per il corpo una serie di prescrizioni che rientrano in quelle tante norme comportamentali, igieniche e sanitarie di cui si occuparono sin dall’antichità sia i sacerdoti egiziani sia i filosofi pitagorici riassunte nei precetti del “tenore di vita pitagorico”. Con questo non voglio dire che il corpo saturniano è stato sottovalutato, al contrario, solo con una conoscenza scrupolosa delle sue molteplici funzioni riusciremo a separarci da lui.

Restando sul livello corporale Porfirio non lo sottovaluta affatto. Una volta persuasi dell’estraneità del corpo fisico, il prossimo passo è l’esercizio della “concentrazione e del silenzio” “disponendosi in uno stato del tutto impassibile nei suoi confronti”. Sulla “concentrazione e il silenzio” siamo abbastanza informati perché un esercizio di questo tipo ci è stato trasmesso da Luce, discepolo pitagorico di Reghini.

Mentre sull’ “impassibilità” non sappiamo nulla, come uomini del nostro tempo agitato abbiamo la necessità di sapere tutto per assimilare bene la “disposizione” richiesta da Porfirio. Per farlo chiederemo l’aiuto di Plotino il quale nella III Enneade ha dedicato all’ “Impassibilità degli esseri incorporei” un lungo capitolo. Se non assorbiamo bene la lezione ivi contenuta non saremo in condizione di fare nessun passo in avanti. Cercherò quindi di riassumere e puntualizzare l’insegnamento di Plotino. 

Plotino, per dimostrare la “impassibilità degli esseri incorporei”, parte da lontano dimostrando per prima cosa l’impassibilità della materia, il fatto che pur essendo giudicata “ricettacolo e nutrimento del divenire universale”, resta impassibile e inalterata. Non dimentichiamo che per Plotino “la materia è l’estrema propaggine dell’Anima” (per cui, propriamente, non è l’anima ad essere ‘dentro’ il corpo ma è questo ad essere dentro l’anima, la quale lo ’avvolge’ come una invisibile ‘aura’, ragion per cui, secondo la legge platonica dell’analogia, dell’imitazione e della simpatia l’anima raggiunge ugualmente l’impassibilità). Fatto ciò il prossimo ostacolo è rappresentato dal mondo sensibile verso il quale, per Porfirio, l’atteggiamento dell’anima è altrettanto netto e sicuro. Scrive:

“…sicuramente per l’anima è possibile sciogliersi dal sensibile con la presenza della forza della conoscenza, rivolta verso l’essere stesso e che lì è sempre sveglia. Infatti poco dopo nello stesso luogo questo legame intellettuale e fantastico e recettivo dell’anima (col sensibile) viene sciolto” (Porfirio).

La “conoscenza” si presenta al discepolo di Hermes con uno spettro molto ampio di possibilità e di opportunità, per un motivo molto semplice: è la porta sul cui frontone troviamo scritta la fatidica frase “conosci te stesso!”. E’ necessario attraversarla per adempiere fino in fondo all’ imperativo divino. Ecco la conoscenza che a noi tutti interessa: se ignoriamo chi siamo non imboccheremo mai la strada di una perfetta impassibilità e quindi di una sicura separazione dai legami corporei. Nello scritto di un discepolo del Kremmerz si legge: “L’obiettivo del primo separando è la perfetta conoscenza di noi stessi, la conoscenza più profonda del significato del nostro corpo saturniano…”

Il destino ultimo dell’uomo, chiarisce come l’uomo sia in grado di conoscere sé stesso e riguadagnare la propria origine. In primo luogo l’anima, al momento della morte fisica, si libera del corpo che viene lasciato in balia dell’alterazione, la forma si dissolve, l’indole è abbandonata al demone, i sensi fisici ritornano alle loro origini e si ricompongono nelle forze cosmiche, l’animo irascibile e quello concupiscibile si riversano nella natura irrazionale. 

L’anima dell’uomo può ora cominciare la sua risalita attraverso le sette sfere celesti, liberandosi in ciascuna degli influssi di cui si era caricata durante la caduta. L’astralità che viene assegnata al novizio al momento dell’entrata nella Fratellanza, segna l’inizio di questo percorso. Così alleggerita l’anima entra nel cielo delle stelle fisse, dove si unisce alle altre anime beate; entra poi nel coro delle potenze che stanno al di sopra della otto divinità primordiali e a quelle si assimila, per raggiungere da ultimo l’ottimo fine a cui aspira chi ha ottenuto la conoscenza: diventare simile a dio.

Caduti nella genesi, noi crediamo che la realtà del nostro essere sia il corpo che vediamo e, come afferma Platone siamo circondati dall’ignoranza, non riconosciamo più la nostra dignità interiore, trascinati dall’orgoglio, costruiamo castelli di sabbia e poi con orgogliamo li demoliamo. «Conosci te stesso» è dunque un’esortazione a spogliarsi del sensibile, a riconoscere in noi l’anima e l’intelletto, l’uomo perfetto di cui ciascuno di noi è l’immagine. 

Il dio esorta a non con fondere l’immortale con il corruttibile. In Porfirio la nozione del « conosci te stesso » è svolta alla luce delle sentenze «pitagoriche»: adattandola al suo contesto, cita dapprima l’esempio in cui il corpo che ci sta attaccato è paragonato alla membrana che avvolge l’embrione nel seno materno e allo stelo in cui è contenuta la spiga di grano; ambedue, membrana e stelo, quando il feto e il grano giungono a maturazione, sono gettati via: così anche il corpo, in cui è inseminata l’anima, non è la vera parte dell’uomo, ed è necessario liberarsi dall’inclinazione passionale verso di esso.

La liberazione si ottiene mediante la conoscenza di se stessi, il riconoscere cioè il valore temporale del corpo, che ci lega al basso e al mortale, e vedere in esso un ostacolo alla conoscenza dell’incorruttibile e del divino che è in noi. Porfirio cita inoltre altre due sentenze «pitagoriche»: per raggiungere la salvezza dell’anima dobbiamo impegnarci a sostenere quelle stesse fatiche che altri affrontano per soddisfare i piaceri del corpo, esercitandosi così nella corsa verso il fine ultimo dell’unione con Dio. 

L’uomo che conosce sé stesso è in grado di salire a dio, e per questo motivo la sua diventa una scelta di vita, che lascia due sole alternative: o la condizione umana viene superata in vista dell’unione con la divinità, oppure l’uomo si abbrutisce totalmente nella materia e si perde quindi nella morte dell’anima e dell’intelletto.

L’intelletto, sede della conoscenza, si rivela così lo strumento che permette all’uomo di liberarsi dalla sua condizione mortale: come abbiamo visto, quest’uomo possiede gli strumenti per superare il presente e costruirsi il futuro, un futuro che coincide con il suo ingresso in dio, ovvero con il suo diventare simile a dio. Per mezzo di una costante disciplina magica e rituale si potrà aspirare alla teurgia sacra la quale gli permetterà di liberarsi del corpo, abbandonandolo al mutamento. Illuminato da dio, guadagnata la luce della conoscenza che è conoscenza di sé, si avvia lungo i sentieri siderei ripercorrendo a ritroso il cammino compiuto dall’anima durante la sua rovinosa caduta.

Questa è la rinascita svelata da Hermes, e che l’adepto deve impegnarsi a non rivelare a nessuno. Per mezzo suo si supera il corpo fisico per entrare in un corpo «composto di potenze», che è indissolubile e immortale, si diviene consapevoli di «essere figli dell’Uno» e alla fine si diviene simili dio. A parte ciò il corpo oppone numerose altre difficoltà alla purificazione e alla risalita dell’anima: le passioni (tra le quali, la pigrizia mentale), l’irascibilità, la concupiscenza affezioni che molto spesso dominano non solo la natura corporea, sfidano la nostra intelligenza e aggrediscono la parte razionale dell’anima. 

Svegliarsi con il corpo equivale a trascorrere da un sonno all’altro, passare in un altro letto; il vero risveglio è quello che porta lontano dal corpo. Anzi, «il vero risveglio consiste nell’alzarsi senza corpo» (Plotino, III 6, 6). L’anima ama dio e con lui vuole unirsi, perché la vita sulla terra, esito di una caduta, di un esilio, di una perdita delle ali, è dominata dall’amore volgare. Invece il vero oggetto d’amore sta altrove e con lui l’uomo ha la possibilità di unirsi, se si libera della carne. 

Sciolto dai legami che lo uniscono agli altri esseri e alla materia, l’uomo può allora recuperare quella parte perduta in seguito alla separazione dall’Uno, e alla fine la contemplazione sarà costante e continua, quando non ci sarà più l’ostacolo del corpo. Allora e solo allora, «se l’anima conosce sé stessa…se sa che il centro è l’origine del cerchio, volteggerà attorno al centro da cui è uscita…si raccoglierà in quel punto…portandosi verso di esso» ed è allora, che le anime «sono dei».

Per mezzo della teurgia sacra egli riesce a liberarsi del corpo, abbandonandolo al mutamento. Illuminato da dio guadagnata la luce della conoscenza che è conoscenza di sé, dell’essere l’uomo esso stesso dio, anche se dio mortale, l’uomo esce dal corpo a tre dimensioni, dissolubile e mortale, e si avvia lungo i sentieri siderei ripercorrendo a ritroso il cammino compiuto dall’anima durante la sua rovinosa caduta. 

Questa è la rinascita svelata da Ermete, e che l’adepto deve impegnarsi a non rivelare a nessuno. Per mezzo suo si supera il corpo fisico per entrare in un corpo «composto di potenze», che è indissolubile e immortale, si diviene consapevoli di «essere dio e figli dell’Uno» e alla fine si diviene simili al dio.

venerdì 18 novembre 2022

Bardo Thödrol: un Manuale per Vivere


Bardo Thödrol un manuale per Vivere e Morire 


Bardo Thödrol: un manuale per Vivere e Morire

Capitolo tratto da “Books of the Dead – Manuals for Living and Dying”, by Stanislav Grof,


Il Libro Tibetano dei morti, o Bardo Thödrol, è un testo funebre molto più recente del suo corrispondente egizio e possiede incomparabilmente maggior consistenza interna e coerenza. A differenza del Pert em hru ( libro dei morti egizio) è un testo ben definito e omogeneo, del quale conosciamo l’autore e la data approssimata della sua redazione.

Nonostante abbia la sua base in un materiale orale molto più antico, fu scritto per la prima volta nell’ottavo secolo ed è attribuito al Grande Guru Padmasambhava.

Questo leggendario maestro spirituale ha introdotto il Buddismo nel Tibet ed ha stabilito i fondamenti del Vajarayana, un insieme di insegnamenti buddisti e di elementi di una tradizione indigena ancestrale chiamata Bon, che fu la religione principale del Tibet prima dell’arrivo di Padmasambhava.

Si sa poco con certezza circa la religione pre-buddista del Tibet; tuttavia, una delle sue preoccupazioni dominanti sembrava essere la continuità della vita dopo la morte. Essa possedeva elaborati rituali che avevano come finalità assicurare che l’anima della persona morta fosse condotta in sicurezza nell’aldilà.

Animali sacrificati, cibi, bevande e vari oggetti preziosi accompagnavano il morto durante il percorso postumo. I riti funebri erano particolarmente elaborati quando moriva un re o un nobile. In queste occasioni, il sacrificio prevedeva l’immolazione di compagnie umane selezionate, le cerimonie coinvolgevano un grande numero di sacerdoti e ufficiali di corte e duravano parecchi anni.

Oltre ad assicurare la felicità del morto nell’oltretomba, si auspicava che questi riti influissero beneficamente sul benessere e la fertilità dei vivi.Aspetti caratteristici dell’ antica religione tibetana originale erano il culto agli dei locali, specialmente le divinità guerriere e della montagna e l’uso di stati di trance per attività oracolari. 

Il Bon originale possedeva componenti animici e sciamanici significativi.

Dopo l’arrivo del Buddismo nel Tibet, entrambi i sistemi religiosi coesisterono e, malgrado la loro diversa natura, si fertilizzarono a vicenda intrecciandosi ampiamente.

Nelle loro forme estreme, è relativamente facile distinguere il Buddismo genuino dalla religione Bon; tuttavia, nella pratica, esse sono così intimamente amalgamate che, nella mente della maggioranza delle persone, sono state fuse in un unico sistema di verità di fede.

Gli elementi non buddisti sono particolarmente evidenti nel rito del sacrificio rituale di persone ai demoni locali, praticato da certi yogi ascetici. Il Bardo Thödol è una guida alla morte e al morire, un manuale che aiuta chi è partito a riconoscere, con l’aiuto di un lama competente, i vari stadi dello stato intermediario tra la morte e la successiva rinascita e ad ottenere la liberazione.

Gli stati di coscienza associati al processo della morte e della rinascita appartengono ad una famiglia più ampia di stati intermedi o bardi:

1. Lo stato bardo naturale dell’esistenza intrauterina
2.Il bardo dello stato di sogno
3.Il bardo dell’equilibrio estatico durante la meditazione profonda
4.Il bardo del momento della morte (Chikhai Bardo)
5.Il bardo delle illusioni karmiche che si susseguono alla morte (Chonyid Bardo)
6.Il bardo del processo inverso, o dell’esistenza samsarica, quando ci si appresta a cercare la rinascita (Sidpa Bardo).

Il Libro Tibetano dei morti fu scritto come una guida per il morire; tuttavia possiede livelli di significato addizionali. Secondo gli insegnamenti buddisti, morte e rinascita non avvengono soltanto in connessione con il decesso biologico e il successivo inizio di un’altra vita, bensì in ogni momento della nostra esistenza.

Gli stati descritti nel Bardo Thödol possono essere sperimentati anche in stati meditativi durante una pratica spirituale sistematica. Questo importante testo è, perciò, al tempo stesso, una guida per la morte, una guida per la vita e una guida per i ricercatori spirituali seri. Esso è costituito da una serie di istruzioni su sei tipi di liberazione: liberazione attraverso l’udire, l’indossare, il vedere, il ricordare, il gustare e il toccare.

Le istruzioni circa i diversi tipi di liberazione furono formulate da Padmasambhava e scritte da sua moglie. Padmasanbhava sotterrò questi testi sulle colline Gampo del Tibet centrale, così come fu fatto con molti altri testi e oggetti sacri, chiamati termas o “tesori nascosti”. Egli concesse il potere di scoprirli a venticinque dei suoi discepoli principali.

I testi del Bardo Thödol furono scoperti più tardi da Karma Lingpa, che appartenne alla tradizione Nyingma e che si incarnò successivamente in uno di questi discepoli. Questi testi sono utilizzati, da secoli, da chi studia con serietà i suoi insegnamenti, come guide importanti per la liberazione e l’illuminazione.

Il Bardo Thödol descrive le esperienze a cui si va incontro al momento della morte (Chikhai Bardo), durante il periodo in cui si hanno le visioni archetipiche e le illusioni karmiche che si susseguono alla morte (Chonyid Bardo) e nel processo in cui si cerca la rinascita (Sidpa Bardo).

Tradizionalmente, questo testo viene cantato dai maestri, o lama, per un periodo di quarantanove giorni dopo la morte, al fine di istruire lo spirito del defunto circa ciò che si deve aspettare nello stato Bardo e come utilizzare le esperienze in vista della liberazione.

CHIKHAI BARDO
IL BARDO DEL MOMENTO DELLA MORTE

Il Chikhai Bardo descrive le esperienze associate al momento della morte. Il loro aspetto più caratteristico è una sensazione di perdere il contatto col mondo famigliare delle polarità e di entrare in un regno irreale di confusione.

In quel momento il mondo logico e ordinato che conosciamo nella vita di tutti i giorni comincia a dissolversi e si ha una sensazione di incertezza ; si sta vivendo una illuminazione o si sta diventando pazzi? .

Il Bardo Thödol tratta questa esperienza annunciando la morte imminente dei vari elementi corporali.

A questo bardo appartengono le esperienze della percezione modificata del peso corporeo, della densità, delle intense pressioni fisiche e della progressiva perdita di contatto col mondo fisico. In questo stadio, qualcuno può rifugiarsi nella mente e tentare di riaffermare a se stesso che essa funziona ancora.

Questo tentativo è descritto come “terra che si immerge nell’acqua”. Nello stadio seguente, le operazioni della mente cessano di essere fluide e la circolazione dei pensieri è turbata. L’unica forma di relazione con il mondo conosciuto è attraverso le emozioni ;pensando a qualcuno che si ama o che si odia.

Le sensazioni di un freddo viscoso sono sostituite da un calore rovente.

Il Bardo Thödol fa riferimento a questa esperienza come a “acqua che si immerge nel fuoco”. E allora le emozioni vissute si dissolvono e l’attenzione si volge lontano dagli oggetti di amore e di odio; tutto l’essere sembra essersi polverizzato in atomi.

Questa esperienza del “fuoco che si immerge nell’acqua” crea uno stato di apertura verso l’incontro seguente con la luminosità cosmica.

Nell’esatto momento della morte si può avere una schiacciante visione del Dharmakaya, o della “Limpida Luce Primordiale della Realtà Pura”. E’ come se tutta l’esistenza, all’improvviso, apparisse nella sua totalità assoluta, brillando come una luce eterna che sta per nascere.

In questa esperienza, tutte le dualità sono trascese – agonia e estasi, bene e male, bellezza e bruttezza, calore ardente e freddo ghiacciante, tutte coesistono in un tutto apparentemente indifferenziato fuori da ogni concezione conosciuta di tempo e spazio.

In ultima analisi, il Dharmakaya è identico alla coscienza stessa dell’osservatore, che non nasce nè muore ed è in essenza la Luce Immutabile.

Secondo il Bardo Thödol, se si riconosce questa verità e l’individuo si preparò , mediante pratiche sistematiche, per affrontare l’enormità di questa esperienza, questa situazione gli offre una opportunità unica di liberazione spirituale istantanea, poiché gli restituisce la sua individualitò.

Coloro che si lasciano intimorire e si discostano dal Dharmakaya avranno un’altra possibilità subito dopo la morte, quando la “Limpida Luce Secondaria” risplenderà sopra di loro. Se costoro dovessero perdere anche questa possibilità di dissoluzione completa delle loro individualità, allora la forza dei loro karma li attrarrà implacabilmente dentro una complicata sequenza di avventure spirituali, con un panteon intero di divinità pacifiche e irate, durante le quali le loro coscienze si troveranno progressivamente sempre più distanti dalla luce liberatrice, nella misura che si avvicinano ad un’altra rinascita.

Queste sono le esperienze descritte nel secondo e terzo bardo

CHONYID BARDO 
IL BARDO DELL’ESPERIENZA DELLA REALTÀ

Nel Chonyid Bardo, le esperienze consistono in successive visioni di una ricca serie di presenze divine e demoniache che il defunto incontra lungo il suo cammino, dal momento della morte fino al momento della ricerca della rinascita. Nei primi cinque giorni di questo bardo, sorgono le gloriose figure delle cinque Divinità Pacifiche.

Sono i DhyaniBudda trascendenti, o Tathagatas, avvolti in luci brillanti di vari colori - Vairocana (Budda Supremo ed Eterno),Akshobhya (Budda Immobile), Ratnasambhava (Budda della Nascita Preziosa), Amithaba (Budda della Luce Infinita) e Amoghadsiddhi (Budda del successo infallibile). Essi appaiono assieme ai loro assistenti, Bodhisattvas maschili e femminili.

Al sesto giorno, tutti i Dhyani Budda sorgono tutto d’un colpo coi loro assistenti, assieme ai quattro Guardiani dei Portali pacifici, o irati, con le loro shaktis femminili o dakinis, assieme ai Budda dei sei lokas, o regni nei quali si può rinascere; ed assieme, inoltre, ad un notevole numero di figure divine, per un totale di quarantadue divinità. La loro brillantezza è in aperto contrasto con la seduzione delle luci intorpidenti e illusorie che rappresentano i sei lokas.

Al settimo giorno, cinque Divinità Detentrici della Conoscenza sorgono dai regni paradisiaci con le loro dakinis, innumerevoli eroi ed eroine, guerrieri celestiali, e divinità protettrici della fede. Splendori di luci colorate emanano dai loro cuori e competono con la fosca luce del tiryaloka, il regno degli animali, o brutali creature subumane.

Le emozioni che ci possono attrarre verso i lokas individuali sono: paura e terrore karmicamnte determinati (devaloka), rabbia violenta (narakaloka), egotismo (manakaloka), attaccamento (pretaloka), invidia e gelosia (asuraloka) ; la rinascita nel tiryaloka è descritto nel Bardo Thödol come un risultato dello “influsso delle illusioni delle tendenze di qualcuno”.

Il periodo tra l’ottavo e il quattordicesimo giorno è il tempo in cui sorgono le Divinità Colleriche, o Adirate. Le figure demoniache che si manifestano tra l’ottavo e il dodicesimo giorno, terribili quanto possibile, sono invero gli aspetti oscuri dei Budda trascendentali. Al trediceimo giorno, i Kerimas, gli Otto Collerici e i testa-di-animale Htamenmas emergono dai profondi regni della psiche.

Al quattordicesimo giorno sorge un ricco insieme di divinità, tra le quali le Quattro Gurdiane dei Portali Femminili, con teste di animali, e altre poderose dee theriomorfiche e yoguinis.

Per i non preparati e non iniziati, le divinità colleriche sono fonte di terrore e timore. Tuttavia, chi avesse familiarizzato con queste immagini attraverso lo studio, chi si fosse preparato al loro incontro mediante una intensa pratica psico-spirituale, sarebbe pronto a riconoscerle e a capire che sono essenzialmente immagini vuote, proiezioni della sua stessa mente.

Egli le riconoscerebbe sarebbe pronto ad unirsi a loro e ad attingere lo Stato Buddico .

SIDPA BARDO 
IL BARDO DELLA RICERCA DELLA RINASCITA

Quelli che hanno perso l’occasione della liberazione nei primi due bardi devono affrontare questo ultimo stadio dello stato intermediario.

Dopo essere svenuti a causa della paura nel Chonyid Bardo, ora si svegliano in una nuova forma - il corpo bardo (corpo di sogno). Il corpo bardo differisce da quello grossolano che conosciamo nella vita di ogni giorno. Esso non è composto di materia ed ha notevoli qualità. E’ dotato di un potere di movimento libero e può penetrare attraverso oggetti solidi.

Coloro che esistono nella forma del corpo bardo possono apparire e sparire quando vogliono, viaggiare istantaneamente verso qualsiasi luogo della terra e perfino raggiungere il Monte Meru, la montagna cosmica sacra.

Essi possono mutare di dimensioni e di forma, duplicare la loro forma, manifestarsi simultaneamente in più di un luogo.. A questo punto, a qualcuno potrebbe sembrare di essere al comando di miracolosi poteri cosmici; ma il Bardo Thödol qui da un avvertimento molto serio a chiunque si permettesse di provare desiderio per queste forze ed attaccarsi a loro.

La qualità delle esperienze, in questo bardo - il grado di felicità o di miseria, dipende dal registro karmico della persona in questione. Coloro che hanno accumulato molto karma cattivo saranno tormentati da eventi spaventevoli, come demoni divoratori di carne, o rakshasas, che impugnano armi, terribili bestie predatrici e forze di elementi furiosi della natura.

Queste forze possono essere esempio,lo scontro di rocce che si disintegrano l’una con l’altra, mari che trasbordano per la rabbia, fuochi crepitanti, crepacci e precipizi funesti. Coloro che invece hanno accumulato meriti karmici proveranno piaceri deliziosi, mentre coloro che hanno un karma neutro andranno incontro ad un tedio incolore e all’indifferenza.

Il culmine delle esperienze nel Sidpa Bardo è la scena del giudizio, durante il quale il Signore e Giudice della Morte, il cui nome è Yama Raja o Dharma Raja, esamina le azioni del passato dell’individuo dal punto di vista karmico, con l’aiuto del suo specchio narratore di storie.

Egli, allora, assegna la persona, secondo i suoi meriti o demeriti, a uno dei sei lokas o regni,o reami, nei quali uno può rinascere - il regno degli dei, degli asuras belligeranti, degli esseri e bestie subumani, degli umani, dei fantasmi affamati, o l’inferno.

Quando le luci dei sei lokas stanno per sorgere nella persona che si trova in questo stadio del cammino del bardo, si può fare un tentativo di chiudere la porta dell’utero e prevenire una reincarnazione sfavorevole.

Il Bardo Thödol suggerisce, a questo fine, varie maniere. Può essere utile contemplare la divinità tutelare o meditare sulla pura luce; altre possibilità sono percepire il vuoto essenziale di tutte le apparizioni samsariche o concentrarsi nella corrente del karma buono.

Si possono evitare i sentimenti forti, che si sperimentano in questo momento, mediante le figure dei futuri genitori percepiti come corpi nudi in unione sessuale.Coincidendo con la teoria della moderna psicologia del profondo , queste emozioni prendono la forma di una attrazione per il genitore di sesso opposto e ripulsa o rabbia verso la figura del genitore del proprio sesso.Se tutte le occasioni di liberazione sono andate perse, il defunto potrà essere condotto irresistibilmente dalle illusioni vissute e la rinascita avverrà invariabilmente.

Con il dovuto orientamento, lo sfortunato individuo ha ancora un’ultima speranza: col dovuto orientamento, egli, o ella, può ancora avere qualche influsso sulla scelta dell’utero nel quale rinascerà.

In un ambiente appropriato e con aiuto, la nuova vita può offrire occasioni di una pratica psico-spirituale che offra una preparazione migliore per il prossimo viaggio attraverso gli stati del Bardo.

LA RUOTA TIBETANA DELLA MORTE E DELLA RINASCITA

Il Panteon delle Divinità Buddiste Tibetane del Bardo Thödol

Molte religioni e culture hanno mitologie elaborate, con vivide descrizioni di divinità e demoni ed anche complessi scenari di vari regni archetipici. Ma nessuna di loro possiede una iconografia così ricca e meticolosa come quella del Buddismo Tibetano.

Essa trova la sua espressione nel Bardo Thödol, il quale offre descrizioni meticolose di un fantastico ventaglio di divinità beate e colleriche e di altri abitanti dei piani post morte.

Sono descritti con meravigliosa precisione nel loro aspetto generico, le loro caratteristiche specifiche, gli attributi simbolici e i colori che sono loro associati.

Mentre le esperienze della Pura Luce Primaria e Secondaria, che caratterizzano il Chikhai Bardo rappresentano l’energia creativa cosmica e la sua natura pura ; e riflettono in modo completamente amorfo tutto il suo potere di manifestare i regni infiniti dell’essere, la progressione attraverso i due bardi restanti, invece, rivela una crescente molteplicità di forme specifiche.

Nel Chonyid Bardo, le cinque espressioni primordiali di questa energia, i Dhyani Buddhas sorgono prima nel loro aspetto beato e gradatamente evolvono in un meraviglioso panteon di Divinità Guardiane della Conoscenza, Colleriche, Guardiane dei Portali, Yoginis dei Quattro Punti Cardinali, e una ricca serie di altri esseri archetipipici. Contemporaneamente, brillano le fosche luci di diversi colori, che rappresentano i sei lokas, i regni nei quali si può rinascere.

Il Sidpa Bardo poi porta in scena il Giudizio, con Dharmaraja e i suoi ausiliari, e l’intricato paesaggio dei sei lokas e dei suoi abitanti.

 
Le Divinità Pacifiche del Chonyid Bardo
 

I primi cinque Budda primordiali sono chiamati anche Tathagatas o Jinas. Tathagata significa, letteralmente, "colui che viene e va allo stesso modo” , ossia colui che è diventato uno con l’essenza di ciò che è, e Jina significa “vittorioso”. Entrambi i termini sono sinonimi del nome Budda, che significa “il risvegliato”.

I cinque Tathagatas sono i cinque modi principali della natura Buddica, coscienza pienamente sveglia.
Essi incorporano cinque qualità di saggezza; tutto ciò che fa parte dell’esistenza - esseri viventi, luoghi o avvenimenti - è profondamente connesso con e descritto nei termini di uno dei cinque.

Per questo, essi sono anche conosciuti come le cinque famiglie. Tuttavia, nel mondo samsarico o nello stato della mente di una persona non illuminata, essi appaiono come cinque veleni o emozioni confuse. Questa situazione è allora rappresentata attraverso i suoi aspetti collerici.

Vairochana (Il seme che si propaga in avanti ) è il Budda del Regno Centrale. Egli è bianco e sorge in uno spazio azzurro; l’abbagliante luce azzurra del Dharmdhatu che si irradia dal suo cuore compete con la fosca luce bianca del regno degli dei (devaloka).

Seduto su un trono di leone e abbracciato dalla Madre dello Spazio del Paradiso, egli stringe nella mano una ruota con otto raggi, simbolo della trascendenza del tempo e della direzione. Vairochana è rappresentato frequentemente con quattro volti, che percepiscono contemporaneamente tutte le direzioni, ciò esprime apertura completa della coscienza e visione panoramica decentralizzata.

Egli rappresenta la saggezza del dharmadhatu, lo spazio illimitato che tutto penetra, dove tutto esiste come veramente è . Essendo egli la figura originale e centrale, la sua famiglia è conosciuta come la famiglia Budda o famiglia Tathagata; questi nomi rappresentano la realtà assoluta , l’opposto dell’ignoranza. Nel suo aspetto negativo, egli simbolizza il veleno della confusione, o l’ignoranza basica dalla quale tutti gli altri difetti mentali o veleni si evolvono.

Amitabha (il Budda della Luce Infinita) è il Budda del Regno Occidentale della Felicità, Il Paradiso Ocidentale, oSukhavati. Egli è rosso e irradia dal suo cuore la luce rossa brillante della saggezza che tutto discrimina; qui, l’alternativa è la fosca luce rossa del regno dei fantasmi affamati (pretaloka). Amitabha è seduto su un trono di pavone, ha in mano un loto ed è abbracciato dalla sua Shakti Pandaravasini, la Vestita di Bianco.

Il pavone e il loto simbolizzano la purezza, l’apertura e l’accettazione.

I Boddhisattvas di Amitabha sono Avalokiteshvara, l’intelligenza definitiva della compassione, Manjushri, che rappresenta la comunicazione della compassione attraverso il suono, Gita, la dea del suono, e la portatrice-della-torcia Aloka. Amitabha comanda la famiglia Padma caratterizzata dalla compassione e dalla saggezza discriminante.

Il veleno è l’indulgenza nelle passioni ordinarie e l’attaccamento agli aspetti piacevoli del mondo materiale.

Akshobhya (il Budda Immobile) o Vajrasattva (l’Essere di puro Diamante) è il Budda del Regno Orientale della Felicità Pre-Eminente.

Egli è azzurro e la brillante luce bianca della saggezza specchiata che irradia dal suo cuore compete con la fosca luce fumosa del regno dell’Inferno (narakaloka). Abbracciato dalla sua Shakti Budda-Lokana, la Budda Occhio, egli riposa su un trono di elefante e stringe nella mano una Vajra con cinque denti o raggi

Gli assistenti che lo accompagnano sono i Boddhidattas Kshitigarbha, l’Essenza della Terra, e Maitreya, l’Amoroso, e anche due Boddisattvas femminili, Lasya, la dea della danza, e Pushpa, la dea dei fiori.

Akshobhya è il sovrano della famiglia Vajra che rappresenta la saggezza trascendentale profonda che tutto riflette chiaramente e senza giudizio critico. Il veleno corrispondente è l’aggressione o l’odio.
Ratnasambhava ( Nato da Un Gioiello) è il Budda del Regno Meridionale Dotato di Gloria.

Egli è giallo e irradia una brillante luce di equanimità e non-discriminazione, la ricchezza e la maestà che possono far sì che qualcuno scelga la concorrente luce giallo-azzurrina e fosca del regno umano (manakaloka).

Seduto su un trono di cavallo, Ratnasambhava tiene in mano il gioiello realizzatore dei desideri. Il suo colore giallo rappresenta la fertilità, la prosperità e la ricchezza della Terra; la sua consorte Mamaki rappresenta l’acqua, un elemento indispensabile alla fertilità.

I due Boddhisatvas maschili che li accompagnano sono Akashagarbha, o l’Essenza dello Spazio, e Samantabhadra , il Tutto-Buono, e le loro controparti femminili sono Mala, rappresentando gioielli e adorni preziosi di tutti i tipi, e Dnupa, la dea dell’olfatto, del profumo e dell’aria fresca. Ratnasambhavapresiede la famiglia Ratna, che è caratterizzata dalla saggezza della luce non-discriminante dell’equanimità e dell’uguaglianza.

Il loro veleno specifico è l’orgoglio.

Amogha-Siddhi (il Budda della Magia Infallibile) è il Budda del Regno Settentrionale delle Realizzazioni Ben Succedute delle Migliori Azioni. Egli è verde ed emana dal suo cuore una radiante luce verde che compete con la fosca luce verde del regno dei guerrieri divini (asuraloka).

Sta seduto su un sedile di shenh-sheng, una specie di arpia o Garuda, un uccello archetipico che è musicista e simbolo di realizzazione; esso può volare e percorrere tutto lo spazio. Amogha-Siddhi è abbracciato dalla sua consorte, Samaya-Tara, la Salvatrice del Mondo Sacro, e la vajra incrociata dai molti colori che ha in mano simbolizza l’area di tutte le attività percepite in tutte le direzioni, un tipo di realizzazione e completamento panoramici.

Qui incontriamo i Boddhisattvas Vajrapani, o Colui che porta la Vajra, che simbolizza enorme energia, eSarvanivarana-viskambhin, il Purificatore di Tutti gli Ostacoli, e anche le loro controparti femminili, Gandha, la dea del profumo, e Naivedya, che fornisce alimento per la meditazione. Amogha-Siddhi presiede la famiglia Karmaassociata alle azioni sagge, all’efficienza e alla realizzazione.

Il veleno caratteristico è l’invidia.

I cinque Tathagatas sorgono individualmente nei primi cinque giorni consecutivi del Bardo Chonyid.

Nel sesto giorno, tutti questi cinque Budda primordiali si manifestano assieme.

Se uno non è preparato a questa esperienza, questo fatto lo porta ad uno stato di perplessità, smarrimento ,giacché i cinque Tathagatas, riempiono tutto lo spazio, in tutte le direzioni, non c’è via d’uscita, dal momento che anche i quattro portoni sono custoditi dai Guardiani dei Portali : Vijaya , Il Vittorioso (Est), Yamantaka , Il Distruggitore del Signore della Morte (Sud), Hayagriva, Il Re Testa di Cavallo (Ovest), e Amritakundali, o la Spirale del Nettare dell’Immortalità (Nord), tutti con le loro Shaktis. Inoltre ci sono i Budda dei sei lokas ed altre figure, per un totale di quarantadue divinità.

 

Le Divinità Guardiane della Conoscenza del Chonyid Bardo
 

Nel settimo giorno, con lo svilupparsi delle immagini del Chonyid Bardo, i Vidyadharas, o Divinità Detentrici della Conoscenza, fanno la loro apparizione.

Le divinità del Bardo Thödol hanno una connessione specifica con i centri di energia psichica o chakras. Le divinità pacifiche sono associate al chakra del cuore e le divinità irate che le seguono sono associate a quello della fronte; i Detentori della Conoscenza rappresentano il loro legame mediato dalla parola e, quindi, sono connessi al chakra della gola. Essi non sono ne pacifici, ne irati, bensì intermediatori, sono imponenti, impressionanti e schiacciantemente irresistibili.

Al momento della loro apparizione, la luce verde del regno animale (tiryakaloka) si manifesta simbolizzando l’ignoranza. Tutti i Vidyadharas ballano mentre compiono riti affascinanti e tengono in mano lunghi pugnali e crani pieni di sangue; il significato esoterico del cranio pieno di sangue è la rinuncia alla vita umana e al mondo del samsara.

Nel centro del suo cerchio sta il Loto del Signore della Danza, il Supremo Detentore della Conoscenza Che Matura il Frutto Karmico, in un alone di colori radianti d’arcobaleno, abbracciato dalla sua Dakini Rossa . A est c’è la divinità chiamata Detentore della Conoscenza Terra-Permanente, di colore bianco e abbracciato dallaDakini Bianca.

Al sud c’è il sorridente e raggiante Detentore della Conoscenza, chiamato Colui che Ha Potere Sulla Durata della Vita, di colore giallo e con la Dakini Gialla. La divinità che sta ad ovest è il Detentore della Conoscenza del Grande Simbolo, rosso, sorridente e raggiante, e abbracciato dalla Dakini Rossa.

E finalmente,al nord, c’è il Detentore della Conoscenza Auto-Evoluta, di colore verde, con sembianze metà furiose e metà sorridenti, abbracciato dalla Dakini Verde.

I Detentori della Conoscenza sono attorniati da innumerevoli dakinis di vario tipo,eroi, eroine, guerrieri celestiali e divinità protettrici della fede.

Utilizzando tamburi, trombette fatte con femori, tamburelli fatti con crani, coperte e bandiere fatte di pelle umana, essi producono suoni spaventevoli che fanno sì che tutto il mondo vibri, si scuota e tremi. Mantras che inducono allo spavento si alternano a grida agghiaccianti: “Uccidere! Uccidere!”

Le Divinità Irate del Chonyid Bardo

Dall’ottavo al dodicesimo giorno, i Tathagats appaiono nel loro aspetto demoniaco, orribili e spaventosi, comeherukas, e con le loro consorti. Essi hanno tre teste, sei braccia e quattro piedi e rappresentano la qualità illimitata e senza restrizioni dell’energia delle famiglie Buddiche.

L’energia basica di tutti i Collerici Herukas è concentrata nel Grande Glorioso Heruka marrone scuro;
egli è l’apetto orribile de Vairochana. Vajra-Heruka è blu scuro ed è la forma collerica di Vajra-Sattva (Akshobhya). L’apetto orribile di Ratnasambhava è il Ratna-Heruka giallo, mentre la controparte scura del Budda Amitabha è Padma-Heruka, nero rossiccio, e quella di Amogha-Siddhi è il Karma-Heruka, verde scuro.

Nel tredicesimo giorno si manifestano i Kerima, gli Otto Collerici, e le Htamenmas, spaventose divinità zoomorfiche; esse hanno le teste di vari animali - leone, tigre, volpe nera, lupo, avvoltoio, uccello rosso del cimitero, corvo e civetta.

Nel quattordicesimo giorno, le visioni del Chonyid Bardo finiscono con una ricca serie di divinità, tra le quali le Quattro Guardiane Femminili dei Portali, con teste di animali, ed altre poderose divinità zoomorfiche e Yoginis. Se tutte le opportunità di liberazione, nei primi due Bardi, sono andate perse, il processo si muove verso il Sidpa Bardo, o Il Bardo della Ricerca della Rinascita, con le sue specifiche difficoltà.

Sidpa Bardo: Il Giudizio e i Sei Regni dell’Esistenza

Un tema centrale, nel processo di ricerca della rinascita del Sidpa Bardo, è la scena del giudizio che culmina con la destinazione ad uno dei sei regni, o lokas. Il Re e Il Giudice della Morte è una divinità chiamata Dharma Raja (Re della Legge), o Yama Raja (Re della Morte); egli rappresenta l’aspetto collerico di Chenrazee, il Protettore Nazionale del Tibet.

La sua testa, il suo corpo, il suo padiglione e la sua corte sono adornati con crani umani, teste e pelli.
Sotto i suoi piedi egli schiaccia Mara, figura simbolica di maya, la natura illusoria dell’esistenza umana.

Egli giudica la morte impugnando nella mano destra una spada, simbolo del potere spirituale, e nella mano sinistra lo Specchio del Karma, nel quale sono riflesse tutte le buone e le cattive azioni da giudicare. A fianco della bilancia, assistite da Shinje, una divinità con la testa di scimmia, ci sono due figure - Il Piccolo Dio Bianco, con un sacco di pietre bianche, e Il Piccolo Dio Nero, con un sacco di pietre nere.

Eseguendo le istruzioni di Yama Raja essi pongono sulla bilancia sassi bianchi o neri, a seconda dei meriti o demeriti karmici del giudicato. Un consiglio di divinità, sedute nella Corte del Giudizio, molte delle quali con teste di animali, assicurano l’imparzialità della giustizia e la legalità del processo. A seconda del risultato della pesata, i morti sono destinati a uno dei sei regni dell’esistenza.

Per la psicologia Buddista Tibetana, tutto questo processo non è limitato al tempo della morte biologica, ma si applica ugualmente anche alle profonde trasformazioni che occorrono durante la pratica spirituale. E’ questa la parte del Bardo Thödol che più assomiglia agli eventi descritti nel Libro della Morte Egiziano ed anche ai testi escatologici di altre culture.

Il Regno dell’Inferno (narakaloka) è un luogo dove si è esposti a torture estreme, ognuna delle quali rappresenta in ultima analisi le forze che agiscono nella nostra stessa psiche. Qui ci sono gli Otto Inferni Caldi, dove campi e montagne sono fatti di metallo caldo incandescente, fiumi sono trasformati in ferro fuso e lo spazio claustrofobico è riempito di fuoco.

L’opposto avviene negli Otto Inferni Freddi, regioni di freddo estremo, dove tutto è congelato e coperto da ghiaccio e neve. Negli inferni caldi ci sono quelli che hanno commesso atti di empietà motivati da rabbia violenta, mentre gli atti risultanti da egoismo e orgoglio portano agli inferni freddi.

Forme addizionali di tortura sono: tagliare o segare a pezzi, strangolare con funi, forare con spine e sottoporre a compressioni laceranti.

Questo è l’Inferno Avitchi, dove coloro che usano la magia per distruggere i loro nemici, o coloro che deliberatamente sono stati negligenti nell’osservanza dei voti Tantrici, soffrono torture durante tempi quasi interminabili.

Il Regno dei fantasmi Affamati (pretaloka) è abitato dai Pretas, lamentevoli creature che hanno un insaziabile appetito. Essi hanno enormi stomaci distesi a domandare di essere soddisfatti, ma i loro colli sono piccoli come punte di spilli, cosi che essi non possono mai saziarsi. In questo regno, c’è una tremenda ansia di ricchezza, desiderio di potere e possesso. Tuttavia, anche se si riuscisse ad esaudire i propri desideri e a possederne i frutti, si sarebbe incapaci di goderne.

Questo fa sì che ci si senta ancora più affamati, delusi e bisognosi. Per di più, la soddisfazione non dura e dopo una fugace esperienza di piacere, ritorna un’altra ricerca che non ha fine. Questa è la sofferenza associata alla cupidigia.

Il Regno Animale (tiryakaloka) è caratterizzato da un modo di vita ottusa; è pura sopravvivenza, a un livello semplice, dove un senso di sicurezza si alterna a momenti di paura. Tutto ciò che è fuori dalle anitudini o è imprevisto è minaccioso e diventa fonte di confusione e paranoia. Tra l’altro, il regno animale è privo di humor. Gli animali possono sperimentare piacere e dolore, ma il senso dell’humor e l’ironia non esistono nelle loro vite.

per gentile concessione del dott. Stanislav Grof 

venerdì 11 novembre 2022

Il Serpente Sacro


Cabinet de reflexion - Il Serpente Sacro 

Il Serpente Sacro

Samael Aun Weor


È nelle dottrine religiose degli gnostici che si può meglio capire il vero significato del dragone (Lucifero), del serpente, del capro e di tutti quei simboli dei poteri attualmente chiamati del male.

Gesù, il gran Kabir, non avrebbe mai consigliato ai suoi discepoli di essere saggi come il serpente se questo fosse stato un simbolo del demonio; e neppure gli Ofiti —saggi gnostici egizi della Fratellanza del Serpente— avrebbero adorato, durante le loro cerimonie, un serpente vivo quale simbolo di sapienza: la divina Sophia.

Il serpente azteco immancabilmente appare in situazioni insolite che confondono completamente la sua configurazione organica: la coda rimpiazzata da una seconda testa, in straordinari atteggiamenti che lo sollevano dal fango della terra, servendo da base per lo sviluppo igneo.


Continuamente il corpo della vipera nelle culture di Anawak si trova modificato da un atteggiamento inusitato che imprime un cambiamento radicale alla sua natura originale: sia la doppia testa che ricorda con molta chiarezza la sua figura in cerchio, in quella posizione gnostica di divorare la propria coda, che è la straordinaria sintesi del messaggio meraviglioso del Signore Ketzalkoatl; sia la posizione verticale ch'esprime l'idea maya e nawatl della vipera divina mentre divora l'anima e lo spirito dell'uomo; sia, infine, la fiamma sessuale mentre consuma l'ego animale, annichilendolo, riducendolo in cenere...

Il serpente —o Logos salvatore— ispira l'uomo affinché riconosca la sua identità con il Logos e ritorni così alla propria essenza, che è quello stesso Logos.

Le acque dell'abisso generarono un vento impetuoso: il serpente —per la somiglianza con il suo verso—; il vento innalzò le acque, che vennero a contatto con lo spirito e con la luce, e il serpente penetrò nella materia caotica e generò l'uomo, mescolanza dei tre princìpi.


L'unico pensiero della luce superiore è quello di poter recuperare le sue particelle perdute.

Siccome la matrice caotica vuole e conosce solo il serpente, il Logos luminoso assunse la sua forma per poter riscattare la luce fusa nelle tenebre; perciò, l'uomo perfetto discese nel seno di una vergine; e non solo soffrì conoscendo i misteri vergognosi della matrice, bensì si alzò e bevve dal calice dell'acqua viva, che chiunque voglia spogliarsi dalla condizione di schiavo e vestire l'abito celeste deve bere.

Il serpente sacro o Logos salvatore dorme rannicchiato nel fondo dell'arca in agguato mistico, aspettando l'istante di essere svegliato...

Chi studia fisiologia esoterica nawatl o indostana enfatizza l'idea trascendentale di un centro magnetico meraviglioso, ubicato alla base della colonna vertebrale ad una distanza intermedia tra l'orifizio anale e gli organi sessuali.

Nel centro del chakra c'è un quadrato giallo —invisibile agli occhi della carne— ma percettibile alla chiaroveggenza o sesto senso; questo quadrato rappresenta, secondo gli Indù, l'elemento terra.

C’è stato detto che dentro quel quadrato esiste uno yoni o utero, e che nel centro dello stesso si trova un lingam o fallo erotico intorno al quale è raggomitolato il serpente: misteriosa energia psichica chiamata Kundalini.

I testi tantrici dell'Asia descrivono la Kundalini così: 

“Luminosa come il lampo, brillando nel vuoto di questo loto (o centro magnetico) come una catena di luci scintillanti”.

La struttura esoterica di questo centro magnetico, come anche la sua insolita posizione —tra gli organi sessuali e l'ano—, danno basamenti solidi ed irrefutabili alle scuole tantriche dell'India e del Tibet.  E' indiscutibile che solo mediante il Sahaja Maithuna (la magia sessuale) può essere risvegliato il serpente.

E' ostensibile che quando la vipera sacra si sveglia per iniziare la sua marcia lungo il canale midollare spinale dell'organismo umano, emette un suono misterioso simile a quello di una qualsiasi serpe aizzata con un bastone.

Indubbiamente, il serpente dei grandi misteri è l'aspetto femminile del Logos: Dio-Madre, la sposa di Shiva, Iside, Adonia, Tonantzin, Rea, Maria o, meglio, Ram-Io, Cibele, Opis, Der, Flora, Paola, Io, Akka —espressione sanscrita della Grande Madre—, la dea dei Lha, Lari o spiriti di quaggiù, l'angustiata Madre di Witzilopochtli, la Ak —la Dea Bianca dei turchi—, la Minerva calcidica dei misteri iniziatici, la Aka-Bolzub del tempio lunare di Chichén-Itzá (Yucatán), ecc., ecc.



Ancora conserviamo un'eco perduta dei misteri antichi nella crociata o pianta a croce delle chiese più gloriose —come quella di san Paolo di Roma— (anziché delle più primitive forme a navata, simbolo della nave o arca salvatrice del diluvio universale o catastrofe di Atlantide, per mezzo della quale approdarono agli attuali continenti tutti i Noè, Ketzalkoatl, Xixuthro e Deucalione) e anche per lo stesso motivo venne chiamato “calcidico” —come luogo sacro del focolare domestico— il corridoio interno che nelle case greche separava dalle altre stanze le abitazioni consacrate agli ospiti, com'è rilevabile dai trattati di costruzione di Vitruvio, di Procopio (De Ædificationem), di Becchi (De Calcidio et Criptæ Eumachiæ), e negli altri trattati dove si fa riferimento a questa crociata, ovvero simbolica croce Tau, sui doveri che l'ospitalità imponeva tra gli uomini.

L'inserzione del fallo verticale nell'utero forma la croce, e ciò è qualcosa che chiunque può verificare.

Se riflettiamo molto seriamente su quest'intima relazione esistente tra la S e la croce Tau o T, giungiamo alla conclusione logica che solo mediante l'incrocio lingam-yoni (fallo-utero), con l'esclusione radicale dell'orgasmo fisiologico, si può risvegliare la Kundalini, il serpente igneo dei nostri magici poteri.

I tempestosi fulmini di Zeus —colui che concentra le nubi che fanno tremare l'Olimpo e semina il terrore in questa povera umanità dolente— formano la croce.



Il fuoco celeste ed il fuoco terrestre, il fohat potenziale o virtuale che compone o disgrega, genera o uccide, vivifica o disorganizza, forma la croce.

Figlio del Sole che lo genera, servitore dell'uomo che lo libera e lo mantiene, il fuoco divino, caduto, decadente, imprigionato nella materia, determina insolite e straordinarie rivoluzioni, e dirige la propria redenzione; è Gesù sulla croce, l'immagine meravigliosa della radiazione ignea incarnata in ogni natura.

E' l'Agnus immolato dall'aurora del gran giorno; ed è anche il vecchio dio del fuoco Weweteotl dell'antica cultura di Teotiwakan, dove viene rappresentato come un anziano carico di anni che sorregge sulla testa millenaria un enorme braciere.

Indiscutibilmente il dio del fuoco sessuale rappresenta una delle più antiche tradizioni nei popoli maya e nawa; è la deità del centro in relazione diretta con i quattro punti cardinali della Terra, come il braciere sacro per accendere il fuoco posto al centro della dimora e del tempio azteco; pertanto, è normale vedere nei gerofanti del dio della fiamma la mistica figura della santa croce, che si trova come ornamento anche negli incensieri chiamati tlemaitl —mani di fuoco—, con i quali i sacerdoti costantemente incensavano gli dèi santi.


Ostensibilmente, un dio antico come questo, molto simile ad Agni, il dio vedico del fuoco, può essere invocato in molti modi. Lo si chiama Xiuhtekuhtli —il signore dell'anno, oppure, signore dell'erba, o signore del turchese—, dal momento che la parola Xiwitl, con una leggera variazione di pronuncia, può avere questi tre significati e ciò è rilevabile nei diversi panteon dell'America Centrale con questo nome.

Non può quindi meravigliarci che la divinità, rappresentata in questo modo, porti sulla testa una specie di mitra azzurra, sapientemente impreziosita da un mosaico di turchesi, caratteristica molto speciale riservata ai potenti re della grande civiltà messicana.  

Il suo nawatl o costume esoterico è la xiuhkoatl, ovvero il serpente di fuoco (la Kundalini) che si caratterizza perché porta esattamente sul naso un prezioso corno decorato con sette ineffabili stelle.
Nella concezione nawatl e maya, la svastica sacra dei grandi misteri è stata sempre definita “croce in movimento”; è il nawi ollin nawatl, simbolo sacro del movimento cosmico.

I due possibili sensi di rotazione della svastica rappresentano chiaramente i princìpi maschile e femminile, positivo e negativo della natura.

Due svastiche ruotanti rispettivamente nell’una e nell’altra direzione, esattamente sovrapposte, formano indubbiamente la croce potenziata, e in questo senso rappresentano la congiunzione erotica dei due sessi. Secondo la leggenda azteca, è stata una coppia, un uomo e una donna, ad inventare il fuoco; cosa possibile solo con la croce in movimento.

INRI, Igni Natura Renovatur Integra: il fuoco rinnova incessantemente la natura.



sabato 5 novembre 2022

Alchimia dell'Energia Sessuale


Male Soma Energy 


Soma e Ananda: il rituale vedico raggiunge il suo climax nell'offerta Soma, in cui i succhi di piante appositamente preparati sono offerti nel fuoco sacro (Agni) come bevanda dei deva. Ma questo antico rituale riflette un rituale interno più profondo ovvero l'alchimia della consapevolezza che è la sua vera importazione. 

Soma è prima di tutto parte di un grande simbolismo universale. Soma pervade il mondo esterno come acqua nelle sue varie forme sulla terra e nel cielo, come la linfa delle piante, i fluidi vitali negli animali, la luna e persino le acque (campo vibratorio) dello spazio. 
Soma esiste dentro di noi come un principio psicologico di sentimento, amore e ispirazione, anche come la nostra creatività che manifestiamo in diverse forme. Eppure oltre a questo, Soma è un principio spirituale, un aspetto dell'infinito e una chiave per l'immortalità. Nello stato di meditazione, il cervello e la mente secernono naturalmente un tipo speciale di soma o nettare di pace e appagamento, che riflette questo soma spirituale. 

Alla fine Soma è la felicità di ogni esistenza, l'Ananda attraverso la quale viene creato l'universo e in cui deve tornare. È questo soma o Ananda che è la prima materia o la sostanza ultima dietro il mondo intero.

Female Soma Energy .


Alchimia dell'Energia Sessuale

di Athos A. Altomonte 

«Tutti i libri di Alchimia sono scritti in chiave, perciò chi non conosce la chiave della Magia Sessuale non può capire i libri di Alchimia. Tutto il tecnicismo dei libri di Alchimia va ricercato negli organi sessuali. Tutte le opere di Raimondo Lullo, Alberto il Grande, Sandivogius, Paracelso, Nicolás Flamel, si possono capire solo con la chiave suprema della Magia Sessuale»           Samael Aun Weor

Ciò che ha scritto Aun Weor è vero e non è vero. È vero che la trasmutazione di mente e coscienza sia un processo alchemico basato sull'energia sessuale. Non è vero che questi abbia a che fare con la magia o col magismo.L'Alchimia non è un mito ma una realtà, difficile da comprendere se resta ammantata nella visione misterica, mentre risulta agevole da riconoscere alla luce della visione intellettuale. 

Ne è un autorevole esempio il testo “Psicologia e Alchimia” di C.G.Jung, padre della psicanalisi del profondo. Sull'argomento si è pubblicato già molto. A cominciare dal saggio intitolato “Alchimia Spirituale” di cui riproponiamo due passi: 

L'Alchimia è lo studio dell'Energia della materia.

L'Alchimia Spirituale è lo studio dell'Energia nella Forma. L'alchimista è colui che libera l'energia dalla materia. L'alchimista Spirituale è colui che libera l'Energia dalla Forma.

                  Deo optimo maximo Artista

"Nel nostro cielo si vedono due luminari. Essi ci indicano, come ti dico, le due luci del grande cielo: Unisci questi due come una donna viene condotta al suo uomo, affinché felicemente in te possa prodursi lo stato matrimoniale. Il mutamento degli elementi avviene dopo di ciò, con misura e rapidamente, di modo che la forma e la natura del rotondo metta in evidenza, dolcemente, le sue forze.”

L'Alchimia trasmutativa è un compendio filosofico prossimo alla scienza moderna ed i processi stimolati sono percorsi psichici e coscienziali noti alla psicanalisi.Per l'assioma «l'azione segue il pensiero» l'Alchimia è un processo di trasmutazione atto a modificare la struttura del conscio (mente e coscienza vigile), del subconscio (pensieri rimossi) e causa nella ragione, o mente fisica, la precipitazione del superconscio.

In parole semplici, trasformare gli elementi (aspetti) che compongono l'energia mentale fa sì che l'energia sottile delle idee archetipe appaia nella mente fisica come un flusso costante d'intuizioni o ispirazioni.

L'esoterismo definisce questo flusso di idee sapere per contatto. L'Alchimia, come si diceva, non è un fenomeno magico, ma un primo passo nell'interazione con le entità profonde conservate nell'animo umano. Entità psichiche costruite da noi stessi attraverso l'emissione delle parole, dei pensieri e delle azioni. Vivono in noi e capaci di autodeterminazione, ci stimolano ad agire in direzione dei loro istinti, spingendoci a scegliere e decidere anche contro il nostro interesse.

Questo è il livello mentale in cui, nel bene o nel male, viene a determinarsi la “libertà di scelta”; che non ha alcuna attinenza col “Libero Arbitrio” ch'è pura luce dell'intelletto.

La differenza tra i due livelli è inequivocabile, perché, dalla libertà di scelta, libera ma inconsapevole, nascono le eterne lamentazioni dell'uomo: ah! se l'avessi saputo! ah! se l'avessi fatto! ah! se l'avessi detto; ah! se l'avessi pensato! Un rimpianto che difficilmente accompagna ciò che viene fatto o detto alla piena luce dell'intelletto.

Queste identità psichiche sono le nostre maschere interiori, che Socrate divideva in dèmoni (maligni e ribelli all'armonia dell'anima) e demòni (retti e consoni all'armonia dell'anima). Per intendersi, sono gli angeli custodi ed i diavoli tentatori delle religioni exoteriche, che la scienza moderna chiama sub-personalità, e che vivono nel nostro sottosuolo psichico. Quel territorio interiore che le metafore mitologiche chiamavano inferi.

L'alchimista professa un fine etico ch'è il progresso umano

L'Alchimia, usa ideogrammi e metafore per descrivere i processi che innalzano la mente e la coscienza umana. I metalli (dal piombo all'oro puro), ad esempio, come i simboli raffiguranti animali, sono l'allegoria di emozioni, desideri, pensieri e sentimenti che vanno disinquinati dalla passionalità animale che li avvolge, fino ad essere trasformati in pensieri nitidi.

L'Alchimia indirizza l'adepto verso processi in grado di cambiarne radicalmente la struttura energetica originaria, così, da innalzare la propria identità su livelli più sottili. Questo avviene “raffinando” la coscienza ed i suoi attributi sensoriali. Per ampliare la sensibilità, ad esempio, l'operatore usa la propria volontà per modificare se stesso.

Come insegnano antichi Commentari: l'Iniziato impara a volere, poi a volere ciò che bisogna volere ed a fare ciò che deve essere fatto. Nella trasmutazione alchemica, l'energia sessuale (in oriente simboleggiata dal Fuoco serpentino Kundalini) è il comburente della mente, della Volontà superiore e della Ragion pura.

Mercurio bianco e sperma alchemico sono termini che se presi alla lettera sono del tutto fuorvianti, a meno di non conoscerne il significato fuor di metafora.Il termine sperma alchemico allude al midollo osseo, conduttore nel corpo, ma soprattutto nel cervello, dell'energia nervosa (elettricità), ch'è in stretta relazione con lo sviluppo della sensibilità mentale.

In occidente, il Caduceo Ermetico è il simbolo della spina dorsale dell'Uomo e del processo che si svolge al suo interno, di cui lo sperma alchemico (midollo osseo) è la sostanza prima. I due serpenti rappresentano le due energie (mascolino e femminino) della polarità umana. E dove le due energie (Yin e Yang per i cinesi) s'incontrano, vengono a formarsi quelle ruote energetiche che gli orientali chiamano chakras.

Le ali poste alla somma della spina dorsale, rappresentata nel Caduceo ermetico (da Hermes trismegisto, tre volte grande) simboleggiano la “libertà mentale” frutto dell'evoluzione di coscienza dell'Iniziato.Non v'è dubbio che le metafore alchemiche velano i passi di una Scuola di Volontà, dove l'Athanor è l'Iniziato stesso, e che cuore e mente siano i “vasi” in cui opera il fuoco della coscienza spirituale.

Questo postulato da un preciso senso di marcia. La “chiave” dell'Alchimia sta nel rapporto tra energia sessuale, volontà e pensiero creativo. E questo postulato lo ritroviamo nelle più genuine culture iniziatiche. Infatti, il collegamento tra Alchimia, trasmutazione ed energia sessuale resiste al muoversi a ritroso nel tempo. Lo troviamo oggi, nei dettami dell'antico Israele e nelle civiltà arcaiche come quella braminica. Vediamone alcuni esempi.

I Cabalisti hanno velato i propri misteri nell'Albero Sephirotico, che per loro equivale alla spina dorsale dell'uomo, il microcosmo. Kundalini (il Fuoco serpentino della filosofia sanscrita e braminica) è attorcigliata su Yesod (la sephira 9), del Pilastro Mediano.

Nel “Greater Holy Assembly” (versetto 566) leggiamo a proposito della Testa di Microprosopos, il cui intero corpo è preso come un glifo del cosmo: "Dalla terza cavità procedono mille volte mille conclavi e assemblee in cui è contenuto e risiede (la sephira) Daàth, la Conoscenza ...

"...è scritto nei Proverbi: nella Conoscenza (la sephira Daàth) i conclavi saranno riempiti e questi tre sono espansi sopra l'intero corpo, su questo lato e sull'altro, e con essi è coerente l'intero corpo e tramite l'intero corpo essi sono espansi e diffusi ... (la sephira) Daàth è situato nel punto in cui l'Abisso biseca il Pilastro Mediano e che in cima al Pilastro Mediano c'è il Sentiero della Freccia .
 
"... la consapevolezza si svolge quando lo psichico sale sui piani, e anche qui c'è Kundalini, e vediamo che in Daàth c'è il segreto sia della generazione che della rigenerazione, la chiave della manifestazione di tutte le cose tramite la differenziazione nelle coppie degli Opposti e la Loro riunione in un Terzo...Il Pilastro centrale rappresenta la consapevolezza e i due Pilastri laterali i fattori positivi e negativi della manifestazione ...
 
"... è degno di nota che nel sistema Yoga (in sanscrito: Unione) la consapevolezza si estende allorché Kundalini sorge attraverso il canale centrale del Shushumna e che l'operazione magica occidentale della Salita di Piani ha luogo nel Pilastro Centrale dell'Albero ; vale a dire che il simbolismo impiegato per indurre questa estensione di consapevolezza, non prende i Sephiroth nel loro ordine numerico, cominciando con Malkuth, ma va da Malkuth a Yesod, e da Yesod a Tiphereth mediante quello che è chiamato il Sentiero della Freccia...” .

Il Fuoco serpentino di Kundalini è il simbolo dell'energia sessuale che giace “avvolta su se stessa” nel coccige, ch'è il chakra più basso dell'uomo. Nella sua forma primitiva è in diretta corrispondenza degli organi sessuali, la cui accensione scomposta, tra gli effetti nefasti, può indurre in uomini e donne, pensieri ossessivi, atteggiamenti compulsivi o un'irrefrenabile eccitazione sessuale.Nel suo aspetto inferiore Kundalini è la forza della generazioni fisica, del piacere sessuale legato alla riproduzione della specie. Che, sviluppandosi, diventa coscienza di sé, autodeterminazione e la forza del pensiero.

L'energia di Kundalini in occidente è Eros (la sessualità), Psichè (la mente creativa) collegate a Thanatos (la liberazione delle forme percedenti).

L'aspetto pratico del Serpente di Vita è legato alla Volontà. Al volere, non nell'aspetto del desiderare quanto a quello della più ferma volontà.

L'aspetto dinamico dell'energia fisico-vitale si esprime come volontà di bene e di male; volontà di amare e di distruggere. Un aspetto duale che viene superato dall'aspetto più raffinato che è quello di determinare scelte consapevoli e conseguenti. Tantè, che la piena consapevolezza di sè e di ogni decisione che comporti l'uso della parola, l'azione o il gesto è il segno distintivo di una mente evoluta.

Questi, a nostro avviso, sono i dati essenziali per un giusto approccio all'Alchimia. Tralasciando ogni aspetto fantastico, imparare ad usare la propria energia per operare su se stessi una genuina tramutazione alchemica.