venerdì 21 luglio 2023

Ablutio e purificatio nell'Opera al Bianco

“Lasciar compiersi ogni impressione e ogni germe d’un sentimento dentro di sé,nel buio, nell’indicibile, nell’inconscio irraggiungibile alla propria ragione,e attendere con profonda umiltà e pazienza l’ora del parto di una nuova chiarezza. 
”Reiner Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta

 

 


L’OPERA AL BIANCO
“l’ora del parto di una nuova chiarezza” di Simona Mazza

Introduzione

Nella semantica del colore, che rappresenta l’opus nella sua essenza, il bianco segue al nero, con un passaggio intermedio attraverso il blu. J. Hillman, in Psicologia alchemica1, indica il blu come “colore transizionale”, quando la disperazione cieca e senza speranza della nigredotrascolora nel blu della tristezza profonda. 

Dunque, ancora un colore notturno, il blu della notte stellata, la notte di Hölderlin, “triste e sfarzosa”, la notte di Pessoa, “solennissima e colma/ di una nascosta voglia di singhiozzare”, la notte di Neruda, “la notte, amata, ormeggia il tuo cuore al mio/ e che essi nel sonno sconfiggano le tenebre”, la notte di Ungaretti, “Quale canto s’è levato stanotte/ che intesse/ di cristallina eco del cuore/ le stelle. E ancora, e ancora. 

Questo è il blu notte, i ritmi lenti dei blues dell’anima, il luminescente buio dei poeti, dei musicisti, di pittori e artisti che hanno raffigurato le gamme azzurre della loro malinconia esistenziale.

Con il blu “la mente comincia a diventare psicologica, scopre che l’anima è un secondo strato delle cose (se non il primo in assoluto), che conferisce profondità metaforica e valore psichico alle cose come sono” (J. Hillman, 2010, Psicologia alchemica, Adelphi,Milano, 2013, pp.111-112).

Il blu solleva la coltre delle tenebre: si preannuncia l’albedo, che introduce il simbolismo della luna, dell’acqua, dell’argento e dell’imbiancamento sullo scenario della coniunctio elementorum.

Per gli alchimisti, che trascendono la visione dicotomica della realtà, ogni metallo è potenzialmente vivo, non oggetto ma soggetto, ogni metallo è un seme fecondante che contiene il proprio Deus absconditus. 

E l’argento è il seme della luna, alberga dentro la sua terra, porta della luna il segno femminile, la sua divina peculiarità di genere. “I termini usati per indicare l’argento in molte lingue assai diverse tra loro convergono sull’idea di bianchezza: (…) la radice (…) del latino argentum significa bianco, chiaro, lucente, luccicante” (Ibidem, p. 138).

Qual è l’azione dell’argento nel processo alchemico della trasformazione? Quale apporto dà all’opera, Deo concedente, per il suo compimento? “L’argentatura (…) produce nel materiale uno stato animico di bianchezza e lucentezza” (Ibidem).

L’imbiancamento, nello stato di albedo, non è il bianco dell’innocenza, del principio, non è una condizione virginale “soave e ritrosa”, come la descrive Hillman, non allude a ciò che ancora non ha avuto luogo, ma bensì è “un raffreddamento che deriva da violenti tormenti, da un lungo patire e da un calore intenso”. 

 L’argentatura alchemica va intesa “come stato di coscienza che proviene non già dall’anima, come semplicemente dato, bensì dal lavoro fatto su di essa” (J. Hillman, 2010, Psicologia alchemica, Adelphi, Milano, 2013, p.139). 

Proviene dal corpo psichico in stato di putrefazione, proviene dalla mortificazione dell’anima, dalla sua sepoltura nella materia plumbea, pesante, nera e opaca della sofferenza.

Dopo la dissoluzione – solve et coagula, è la procedura degli alchimisti per alimentare il processo in ogni sua fase – quando, finalmente, la rugiada cade in pioggia sottile sul corpo congiunto di Re e Regina, quando la colomba bianca si leva dal loro sepolcro, quando la luce lunare chiarifica il buio notturno della mente e il primo sole del mattino si solleva dall’abisso dell’inconscio, allora sul mondo si irradia luce d’argento: l’acqua con i suoi riflessi argentei, l’etere azzurrina per le elevazioni spirituali, la luce lunare che chiarifica il buio, l’alba che a poco a poco liquida la notte, dominano la scena. 

Le qualità essenziali dell’argento specchiato – la lucentezza, la sua capacità di ricevere le immagini e le fantasie, di “rispecchiare”, la sua possibilità di “riflettere” – ne irradiano il valore simbolico. L’argento è dunque il “seme”, l’origine, dell’attività immaginativa e l’immaginazione è il metodo per estrarre argento dalle miniere plumbee dell’interiorità, ovvero coscienza lunare, e così “imbiancare la mente”, liberarla dalla nera opacità della concretezza e del letteralismo (si veda J. Hillman, op. cit. cap.6). Sul piano animico, l’azione dell’argento corrisponde alla liberazione dell’anima dalla zavorra della materialità.

Nella fase bianca dell’opus, così come è raffigurata nel Rosarium Philosophorum, in particolare nell’immagine VIII, sopraggiunge un elemento di purificazione, portatore di luce e di energia, veicolato dal simbolismo dell’acqua. 

I significati dell’acqua sono incentrati su temi universali: essa è l’origine di ogni forma di vita, madre e matrice di tutte le cose, di tutte le possibilità di esistenza, è operatrice di purificazione, di guarigione e di rinascita. Il grande oceano da cui tutto proviene e a cui tutto ritorna. Leggiamo in Mircea Eliade:

“(…) l’acqua assorbe il male, grazie al suo potere di assimilare e disintegrare tutte le forme (…) tutto si ‘scioglie’ nell’acqua, ogni ‘forma’ si disintegra, ogni ‘storia’ è abolita (…). 

Ma tanto a livello cosmologico quanto antropologico, l’immersione nelle acque non equivale a una estinzione definitiva, è soltanto reintegrazione passeggera nell’indistinto, a cui succede nuova creazione, nuova vita, uomo nuovo…

 (Sul simbolismo dell’acqua si veda M. Eliade, 1948, “Le acque e il simbolismo acquatico”, cap.5, Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, Milano, 2012, pp.169-194).

La mundificatio sembra esprimere così una nuova intellegibilità della situazione psichica e, da un punto di vista psicopatologico, la fuoriuscita dalla depressione. 

Nell’acqua, infatti, la prima materia raggiunge la sua “trasparenza” e divengono così improvvisamente evidenti, trasparenti appunto, le relazioni tra le cose; la limpidezza di un’acqua attraversata dalla luce rende possibile guardare il fondo, come dire, vedere in trasparenza e in profondità. 

Del resto, la luce naturale dell’alba allude ad una “chiarificazione” spontanea del contesto psichico: quando comincia ad “albeggiare” si fa gradualmente visibile ciò che è in sé impercettibile e impensabile.

Con la benefica rugiada e la sua alba chiara, l’immagine della purificazione è tutta permeata da un senso di grazia e di restaurazione, non ancora una rinascita – per questo dovremo attendere l’opera al rosso – ma un risveglio, direi, quasi estatico. 

L’uscita dalla depressione ha molto da condividere con queste impressioni: esse accompagnano e caratterizzano il momento in cui, superato lo stato di sofferenza “insensata” (non riconosciuta nel senso) e di ritiro narcisistico, ci si riaffaccia al mondo, che si torna di nuovo ad abitare e ad investire di desiderio. In questo rinnovato interesse per la realtà e per la vita c’è qualcosa che ha a che fare con una coscienza aurorale. 

Mi riferisco a ciò che E. Cobb (1982) definisce come “il senso di meraviglia del bambino”, uno sguardo estatico sulla realtà che esprime e genera un’interrogazione fondamentale.

Nella sostanza purificatrice dell’aqua alba si esprime, dunque, il passaggio dal pensiero concreto al pensiero simbolico, e il superamento dell’atteggiamento letterale nei confronti della realtà psichica. Come nota Jung nel commento all’immagine, la mundificatio significa “eliminazione del superfluo” al fine di estrarre la forma pura, cioè l’ordine di relazione, dalla opaca naturalezza dei fenomeni. 

Gli alchimisti parlavano, infatti, di exstractio animae, un concetto che immediatamente rimanda al lavoro dell’interpretazione, volto ad estrapolare il pensiero latente, ma preferirei dire immanente, dalle oscure manifestazioni della psiche inconscia. 

L’estrazione dell’anima dalla materia implica, perciò, anche la facoltà di sottrarre alla vivida concretezza dei sensi il proprio pensare e il proprio sentire, per produrre un’astrazione, ovvero una percezione simbolica. È chiaro, dunque, che l’idea della mundificatio, estrapolata dall’opus alchemico e rapportata al contesto dell’opus analitico, ne esprime proprio il cuore e il fondamento: l’ermeneutica del senso.

Spostandoci, infine, sul piano dello sviluppo filogenetico della coscienza, corrisponde a un salto evolutivo dell’essere umano:

“Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.”

Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno XXVI, 118-120.