sabato 29 ottobre 2022

Il Racconto dell'Eremita




Opus Magicum: La Concentrazione ed il Silenzio
di oldatanor


Tratto da Introduzione Alla Magia Volume primo di LUCE

La possibilità di giungere ad una completa realizzazione teurgica e magica, si basa sulla conoscenza diretta e sperimentale, che l’operatore ha di potenze spirituali costituenti l’intima essenza della realtà, alla quale conoscenza si giunge col compiere un rito che aiuta a svelare proprie facoltà, ignote o troppo trascurate.

Chi, scelta la via da seguire, è forte in sè stesso e certo che la sua volontà sarà dura contro i moltissimi ostacoli che incontrerà sul cammino, né mai un istante di debolezza sopravverrà, sì che egli deroghi dalle fissate norme, inizi il rito.

A maggior chiarimento di quanto viene detto circa le operazioni sacre, daremo alcuni brevi riferimenti a testi classici di magia e di ermetismo, che potranno mostrare molti significati, facendo intendere il modo esatto con cui le operazioni rituali stesse vengono eseguite. È bene accennare, preliminarmente, alla essenza della natura umana, che deve essere intesa giustamente nella multiforme varietà dei suoi simboli esterni ed apparenti e delle esposizioni verbali.

«V’hanno quattro elementi che costituiscono la base di tutte le cose materiali, e cioè il fuoco, la terra, l’acqua e l’aria, che compongono tutte le cose terrene, non per fusione, ma per trasmutazione e per raggruppamento e in cui tutte le cose si risolvono quando si corrompono»[1]. 

Tali elementi adombrano nella realtà fisica, apparente, particolari esperienze dello spirito operante e cosciente o non, e siccome «nessuno di essi si trova allo stato di purezza, essi sono più o meno amalgamati tra di loro e suscettibili di trasmutarsi l’un l’altro».

Tale opera di trasmutazione è compiuta dal Fuoco, dallo spirito, che agisce sulla terra, la materia, per giungere al compimento del perfetto magistero, alla conquista della Pietra dei Saggi.

Si ricordi: «Aurum igitur aurificandi verum, unum, sólum principium esto»[2]. 

Il principio di perfettibilità, di dignificazione, di sublimazione dello spirito è nello spirito stesso, che in sè viene a creare, o, se più piace, a determinare le condizioni dell’ascesa. Ma non si creda che questa sia facile operazione, particolarmente nella sua fase iniziale, duplice, che insegna dapprima ad isolare lo spirito, rendendolo inattaccabile ad ogni influsso dall’esterno, finché, reso perfetto questo stato, lo spirito acquista la conoscenza di sè con modi percettivi affatto nuovi.

La necessità di una costanza assidua e tenace è stata simboleggiata dagli alchimisti nell’«Acciaio dei Saggi», necessario alla operazione prima della composizione del Mercurio, il quale dovrà in seguito agire sui metalli, simboli delle affezioni terrene, che dallo stato di iniziale impurità loro propria, quando sono nella Terra mescolati ad estranee sostanze, e quando dalla Terra sono appena separati, finché, gradatamente sublimati all’ultima perfezione di potenze cosmiche, cieli e pianeti, possono congiungersi alla essenza del sovrano artefice, fino ad identificarvisi nella perfezione dell’Opera.

La Concentrazione è facoltà essenziale e di immediata importanza dopo la determinazione volitiva adeguata allo scopo. A molti, abituati allo studio, sarà facile il concentrarsi, ricostruendo il processo psicologico dell’attenzione, che però, nel nostro caso, è, nelle prime fasi, libera da ogni oggetto; osservando in questo, come in ogni altro periodo, la norma generale di applicarvisi per un tempo di volta in volta maggiore e con intensità crescente.

È opportuno notare, anzitutto, che la concentrazione può essere eseguita in due modi: il primo, che possiamo chiamare esterno, ha un carattere puramente cerebrale e mentale; il secondo è essenzialmente un atto dello spirito.

Si cominci in un luogo possibilmente quieto e silenzioso, cercando di eliminare ogni ostacolo esterno alla buona concentrazione, e si assuma la posizione più comoda e più adatta, cosicché il corpo non abbia a risentire il menomo fastidio e non eserciti alcuno sforzo muscolare, abbandonandosi completamente, in posizione di assoluto riposo. È consigliabile l’uso di una poltrona con alto schienale e bracciuoli atti a sostenere completamente gli avambracci. Ci si può anche distendere supini, con la testa sul livello orizzontale del corpo, volta ad oriente.

Nei casi di più persone insieme operanti si osservano norme particolari. Tema iniziale della concentrazione è il liberarsi dal modo abituale di pensiero, sentendo il proprio pensiero come qualche cosa di reale, di fisso, di materiale, di massiccio che è nella mente, nel cervello, e si condensa e si raccoglie tutto là dove ha sede, ed acquista tale densità e consistenza che viene stretto, viene afferrato, dominato completamente, preso e posto fuori dal corpo e fuori mantenuto.

In questo atto avviene una graduale divisione fra lo spirito cosciente, puramente cosciente di ciò che compie, e l’atto stesso, in quanto compiuto dallo spirito, come qualche cosa che dallo spirito è fuori, su un altro piano di «densità» e con altra e diversa natura; e lo spirito, a poco a poco, concentrandosi, nella tensione di determinare e di sentire il pensiero cosi concreto, se ne distacca come atto di coscienza.

All’uopo si possono usare vari artifici, come ad esempio gli specchi[3]; è comunque utile di rilevare l’opportunità di porre il pensiero ad una certa distanza. La concentrazione del pensiero in alto, tra gli occhi, è oggetto di pratiche particolari per determinati scopi.

Un altro metodo di concentrazione, più perfetto, ma anche più difficile, consiste nel non occuparsi del pensiero, abbandonandolo a sè stesso, finché, privato della vitalità che gli deriva dall’attenzione, permanga inerte, né più turbi il puro atto di coscienza spirituale. In tale stato è il silenzio.

La duplice funzione di attivo e di passivo che ha lo spirito in questa fase è chiaramente detta dal Filalete: «Est autem aurum nostrum duplex, quod ad opus nostrum expetimus, maturum puta, fixum, Latonem flavum cuius cor sive centrum est ignis purus. Quare corpus suum in igne defendit, in quo depurationem recipit, ut nihil ejus tyrannidi cedat, aut ab eo patitur. Hoc in opere nostro vices maris gerit, quare auro nostro albo crudiori, spermati foemineo, conjungitur, ete»[4].

Della natura del fuoco, come spirito animatore, e non come particolare elemento da sperimentare, dice Agrippa «Il fuoco appare in tutte le cose e per ogni cosa e non è in nessuna cosa ad un tempo, perché illumina tutto, pur restando occulto e invisibile quando esiste per sè stesso e non si accompagna alla materia sulla quale esercita la sua azione e per mezzo della quale si rivela. Esso è immenso ed invisibile, atto per sua virtù alla propria azione…, esso comprende gli altri elementi, restando incomprensibile, senza avere bisogno di alcuno di essi, è atto a crescere per propria virtù e a comunicare la sua grandezza agli oggetti che riempie di sè, etc,».

Nel Silenzio lo spirito, libero da ogni legame, precipita in sè stesso, si vede e si conosce. Questo avviene in un succedersi di percezioni coscienti, che possono essere distinte in tre fasi successive.

Iniziale è una percezione netta di isolamento, di solitudine, in cui lo spirito viene ad adagiarsi, come un fluttuare lieve di una massa inconsistente ed aerea in un mezzo leggermente luminoso. Lentamente si ha la percezione di sommergersi, di inabissarsi, di discendere in qualche cosa che, invece di essere più consistente, va a grado a grado diventando più tenue, e nello stesso tempo si ha la coscienza di un dilatare, come se quanto è intorno dilaghi lentamente fino a espandersi nell’infinito.

Prima percezione di infinito. – Più giù, più giù ancora, la leggera impressione luminosa si va attenuando sino a perdersi completamente. Subentra l’oscurità, la tenebra fitta, e nello stesso tempo una vaga e sempre più precisa coscienza di maggiore densità del mezzo oscuro in cui si sprofonda: poi sembra che l’essere, divenuto solido e di una solidità nera, si estenda oltre i suoi limiti nell’universo.

Seconda percezione di infinito. – La consistenza diviene più densa, più massiccia, il buio si fa più completo sino ad un nero totale, sino ad una totale opacità: lo spirito si sprofonda sempre più. Ad un certo punto si ferma, e qui la solidità è perfetta. D’un tratto pare che tutta l’’enorme massa pietrosa si sfasci – impressione istantanea – e, dopo, un nuovo abisso si apre, la massa si dissolve e lo spirito sprofonda. Vertigine assoluta nello spirito, che è solo domata dalla coscienza di sè come realtà intangibile, indistruttibile, tenace e vittoriosa.

Oltre questo, l’impressione di buio è di buio sciolto: aria-buio. Ed ancora lo spirito consiste, sempre fisso e determinato a vincere le profondità abissali; e permane immobile. Dal fondo appare una nuova luce, che, tenue dapprima, diventa a grado intensa, fino ad essere percepita di una consistenza equorea, che scioglie e muta in oceano di latte l’infinità delle cose.

Giunti a tal punto, il senso di infinità e di incondizionata libertà dello spirito è perfetto, né vi è uno stato migliore. – «Requiem adeptus es». – Ma non si deve, tuttavia, credere che si debba così permanere in uno stato di assoluta immobilità, perché, se pure è compiuta la prima necessaria e più difficile operazione, rimane ora la fase costruttiva del rito, che non è scevra di importanza, e conduce alla conoscenza ed alla esperienza di modi di comunicazione puramente spirituali, insegna a percepire l’essenza delle cose nella loro immediata realtà, oltre l’apparenza formale, col realizzare interiormente i Nomi di potenza ed i Segni delle cose.

Cosi lo spirito non solo sarà perfetto in stato, ma pure in atto.

Per un breve raffronto con la tradizione alchemica, si noti che, nei testi, le fasi di oscurità accennate, sono correlate a simboli successivi e riferentisi al colore nero.



























Il Filalete ha magnificamente descritta la fase esposta, nel settimo capitolo dell’Introitus, dopo avere esaurientemente delineate tutte le proprietà dello spirito agente e le sue determinazioni, donde e come. 
Il lettore che si interessa particolarmente a questo si rifaccia al testo e sappia comprendere nello spirito i simboli.


[1] C. Agrippa, De occulta philosophia, I, 3. – Cfr. la vers. ital.di A. Fidi con introduz. di A. Reghini.
[2] “rettifica perciò oro in oro vero e uno, che è la sola e unica fonte” I. Filalete, Introitus apertus ad occl. Regis Palatium, c. I.
[3] Sull’uso degli specchi si è scritto nel n. 8-9 della rivista «Ignis», anno 1925, accennando ad un particolare metodo di realizzazione. È tuttavia bene far osservare che, nell>esporre fasi rituali od esperienze compiute, si accenna solamente a quanto è di maggiore importanza, tralasciando i dettagli, pressoché infiniti.
[4] Ma il nostro oro che cerchiamo per il nostro lavoro, è duplice, maturo, fisso, giallo, il cui cuore o centro è puro fuoco. Perciò col fuoco difende il suo corpo, nel quale riceve la purificazione, affinché nulla ceda alla sua tirannia o ne soffra. Nel nostro lavoro questo indossa le vesti del maschio, quindi è unito al nostro oro bianco più grezzo, con lo sperma femminile, ecc.